Sulla questione ebraica, la Chiesa, l’avarizia e l’impero.

In principio, ci fu Numa Pompilio. Direte, ma che c’entra il legislatore di Roma con la questione ebraica? C’entra perché il problema dell’usura nella vita civile si è posto con il patriarcato, poiché le società gilaniche erano società del dono in cui il denaro non esisteva proprio, e Numa Pompilio fu colui che in Italia dettò le regole di questa nuova pratica che aveva causato tanti contrasti, lotte, omicidi e scontri nella città appena fondata tra sostenitori del nuovo ordine, in prevalenza romani, e quello del vecchio principio del dono, che erano soprattutto i Sabini di Tazio che si erano trasferiti a Roma. Il compromesso fu geniale: Numa introdusse un tredicesimo mese di 21 o 22 giorni, il Mercedonio, che i Pontefici minori avrebbero indetto ogni due anni in coincidenza con il grande mercato che si teneva sulla sponda settentrionale del Tevere. Dopo il mercato, chi aveva prodotto e venduto aveva la possibilità di pagare i debiti e quindi in quel mese era possibile esigere legalmente la restituzione dei debiti, altrimenti i creditori dovevano aspettare ad esercitare i propri diritti sui debitori.

I Pontefici minori erano quelli che attendevano alla guardia e alla cura del ponte mobile Sublicio, l’unico che collegava le due sponde del Tevere e dovevano accertarsi che da nord non provenissero pericoli per Roma. A nord c’erano i ricchi (già allora!), che erano anche alquanto cattivi e ogni tanto dichiaravano guerra ai romani. Ricorderete che quando Porsenna cercò di rimettere sul trono della città Tarquinio il Superbo, arrivò di notte proprio a Ponte Sublicio per cercare di entrare in città con il buio. Fu Orazio Coclite, uno dei pontefici minori, che resistette da solo fermando sullo stretto ponte gli invasori per consentire ai suoi compagni di smontare il ponte dietro di lui. Numa riformò anche il calendario di Romolo, inserendo i mesi di Gennaio e Febbraio all’originario costituito solo da dieci mesi. Il calendario di Romolo era fatto nell’ottica delle società agricole e quindi d’inverno il tempo non si contava. Nella nuova visione del rozzo capitalismo primordiale, invece, il tempo assumeva una funzione essenziale per il calcolo degli interessi. I mesi di Numa avevano tutti 29 giorni, come nelle società gilaniche, tranne Marzo e Dicembre che ne avevano 31, e quindi alla fine dell’anno mancavano dei giorni per mantenere la coincidenza del calendario con i solstizi. Questi giorni venivano recuperati ogni due anni con il Mercedonio che, ogni quattro anni, aveva un giorno in più come il nostro bisestile.

Roma era una società in cui il denaro e l’usura avevano un’enorme importanza. Nonostante le numerose leggi che cercavano di limitare gli interessi, l’usura era molto diffusa. Ne fu vittima persino Catullo che in un suo noto sonetto ricorda all’amico Furio che sulla sua casina di campagna non soffiava l’Austro né il Boreale, ma da un’ipoteca di 15 mila e duecento sesterzi era soffiato via, ed era un vento orribile e pestilenziale.

Furi, villula vestra non ad Austri flatus opposita est
neque ad Favoni nec saevi Boreae aut Apheliotae,
verum ad milia quindecim et ducentos.
O ventum horribilem atque pestilentem.

Cicerone ci racconta le attività usurarie di Bruto che, a mio avviso, furono la vera motivazione dell’assassinio di Cesare che ha combattuto contro gli usurai per tutta la vita ma allo stesso tempo se ne è servito per costruire la sua carriera politica.

Nel tardo impero, Salviano di Marsiglia (al quale dedico la copertina di questo articolo) ci fornisce una terribile testimonianza degli effetti dell’usura sulla popolazione e delle vere ragioni per cui la gente preferiva stare con i barbari, sporchi, ineducati, senza arte e senza cultura, ma molto più umani e solidali degli usurai che pullulavano nelle città delle province, ai quali i debitori insolventi dovevano spesso vendere sé stessi o i figli per fare fronte ai debiti contratti e necessari per vivere. La grande maggioranza della popolazione non tollerava più il sistema usuraio sul quale si fondava la civiltà romana e la Chiesa decise di vietare il prestito a interesse, classificandolo come un peccato mortale, di quelli cioè, che ti portano dritto all’inferno.

La Chiesa, oltre al favore popolare, seguiva l’insegnamento di Sant’Agostino che, a sua volta, seguiva la Bibbia e la considerazione di Aristotele per cui le pietre e i metalli, insomma le monete, non danno frutti e pertanto gli interessi sono contro natura. Questo precetto della Chiesa rimase a lungo e fu diverse volte ribadito e normato dai Papi che si sono succeduti, segno che in realtà poi, la vecchia pratica dell’usura era difficile da sradicare nei comportamenti dei ricchi e delle popolazioni a loro soggette. Nella Bibbia, il divieto di prestito a interesse era sancito nel Deuteronomio (23,19-20) e nel Levitico si dice che ogni sette anni i creditori devono condonare i debiti ai debitori. Tuttavia, la Bibbia dice anche che è possibile prestare ai “gentili“, ovvero ai non ebrei, e incoraggiava a dare in prestito a queste genti perché da tali prestiti derivava un grande potere.

Il Papa che legò indissolubilmente gli Ebrei agli interessi e all’usura (per la Chiesa ogni interesse era usura), fu Innocenzo III, al secolo Lotario dei Conti di Segni, di chiara origine Germanica, salito al soglio pontificio nel 1198. In quel periodo, la crisi economica che aveva attanagliato le popolazioni in Europa per tutto l’alto medioevo si faceva di nuovo sentire a causa dei conflitti che contrapponevano i Comuni all’Impero e che era culminato nella battaglia di Legnano tra la Lega dei Comuni e l’Imperatore Federico Barbarossa. Devastazione delle campagne, raccolti scarsi, carestie, mancanza di mezzi adeguati per sostenere la produzione agricola, drammatiche epidemie di peste e di lebbra, avevano ridotto la popolazione e la situazione economica era allo stremo. Per arare la terra occorrevano aratri di metallo, ma comprarli e lavorarli aveva un costo insostenibile per i contadini. Anche l’acquisto delle sementi era divenuto insostenibile, considerando che per ogni seme piantato se ne ricavavano solo due con i rudimentali mezzi di allora. Ovviamente i ricchi avevano i mezzi economici per poter invertire la tendenza, ma nessuno se la sentiva di investire se non poteva ricavare un interesse alto, adeguato al rischio che il suo capitale correva in quella situazione.

Innocenzo fu scottato dalle vicende della IV Crociata che aveva indetto appena divenuto Papa, e che in pratica abortì per mancanza di denaro. I Veneziani avevano stipulato un pagamento di 50 mila fiorini per portare i crociati a fare la guerra in Palestina, ma nonostante le innumerevoli missive inviate ai regnanti d’Europa, questi mandarono numerose truppe, anche per togliersi di mezzo bocche da sfamare in quella difficile situazione, ma nemmeno un fiorino. Così il Doge Enrico Dandolo decise di usare le truppe sante (si fa per dire), che da mesi bivaccavano a Venezia a spese dei veneziani, per andare a sedare una rivolta in Dalmazia e fare un po’ di schiavi da rivendere ai turchi, subendo la scomunica di Innocenzo. Una soluzione sembrò fornirla la richiesta di aiuto di Alessio IV Angelo, che era stato estromesso dal trono di Bisanzio dall’usurpatore Alessio III, che promise a Dandolo il pagamento dei 50 mila in cambio della riconquista del trono. Ottenuto l’assenso di Innocenzo e la revoca della scomunica, i crociati sbaragliarono con qualche scaramuccia il malridotto e poco motivato esercito bizantino, ma Alessio III nel frattempo, era fuggito in Grecia portando con sé buona parte del tesoro imperiale. Ne seguirono contrasti sempre più violenti tra Alessio IV, che cercò di vessare di tasse la popolazione per fare i soldi necessari al pagamento, e i crociati che lo esigevano illico et immediate, finché Dandolo, dopo una rivolta popolare contro Alessio IV, decise di saccheggiare Bisanzio per recuperare con il bottino le somme pretese. Fu una strage spaventosa e alla fine a Bisanzio rimasero solo 4.000 abitanti, quasi tutte donne che furono vendute nude ai turchi come schiave, e il bottino fu ingentissimo, di valore valutato in circa 900.000 marche imperiali d’argento, equivalenti a centinaia milioni di euro, ma alcuni beni, tra cui i cavalli di bronzo che ora stanno sulla Basilica di San Marco a Venezia, avevano un valore artistico incalcolabile. Il bottino fu diviso per tre ottavi ai crociati, tre ottavi ai veneziani e due ottavi al futuro nuovo imperatore di Bisanzio per conto dei veneziani. Innocenzo scomunicò di nuovo Dandolo e i crociati che invece di combattere gli infedeli, avevano saccheggiato duramente una città cristiana. C’è da aggiungere che la durezza del massacro fu anche conseguenza della strage dei latini avvenuta vent’anni prima nel 1182, quando i 60.000 abitanti cattolici di Bisanzio furono trucidati dagli abitanti ortodossi della città. i quattro mila rimasti, furono anch’essi venduti come schiavi ai turchi.

Per cercare di dare una risposta alla crisi e sanare le divisioni e i contrasti tra cristiani, Innocenzo indisse nel 1213 un Concilio, il Laterano IV, che vide una grande partecipazione di chierici da tutta Europa. Le decisioni del Concilio (decreti) le trovate a questo link (ce ne sono alcune davvero divertenti e attuali, come la XIV e la XV sull’incontinenza e l’ubriachezza dei chierici, o la XXXI sui figli illegittimi dei canonici [Per far cessare la pessima corruzione invalsa nella maggior parte delle chiese, proibiamo con ogni fermezza che figli di canonici, specie se illegittimi, siano eletti canonici nelle chiese secolari, nelle quali servono i loro padri.])

La questione degli ebrei viene affrontata nel decreto LXVII, dal titolo “Circa l’usura dei Giudei“. In questo decreto, Papa Innocenzo addebita la crisi economica all’usura, sostenendo che i Cristiani si astengono dal prestare denaro a interesse, ma i Giudei no, e quindi le ricchezze dei Cristiani in breve tempo si possono esaurire. Quindi, se qualche Giudeo dovesse esigere “interessi gravi e smodati“, i Cristiani devono astenersi dal commerciare con loro finché non vi abbiano riparato.

In altri termini, ai Giudei era consentito prestare soldi a interesse, purché non fossero gravi e smodati, mentre ai Cristiani era impedito farlo. D’altra parte i Giudei in quanto tali erano già nella condizione di dannati in quanto “deicidi“, quindi che commettessero un altro peccato mortale era irrilevante per la loro condizione. Ovviamente, non erano certo i Giudei a prestare i soldi a interesse, ma quelli che allora li avevano, ovvero le famiglie nobili che comandavano a Roma e negli altri paesi cristiani.

La conseguenza pratica, fu che queste famiglie dovevano prendere un Giudeo, con il quale potevano commerciare se i prestiti erano gravati da interessi accettabili, e prestare i soldi per suo tramite. In questo modo non si sarebbero macchiate del peccato mortale, che sarebbe ricaduto sul Giudeo, e l’economia poteva ripartire poiché il capitale dei nobili veniva remunerato con gli interessi. Le famiglie che allora contavano a Roma, erano i Massimo, gli Orsini, i Frangipane, i Caetani, i Colonna, i Savorelli eccetera. A differenza dei nobili nominati dall’Imperatore, i nobili romani erano proprietari dei feudi e questo metteva il Papa in una situazione delicata poiché doveva fare molta attenzione a non urtare le sensibilità (id est il portafoglio) di queste famiglie. L’imperatore, invece, era il proprietario di tutti i feudi e il feudatario lo teneva e gestiva in suo nome e per suo conto. Quindi, l’Imperatore poteva revocare il feudo al feudatario ribelle, prendergli le terre e affidarle ad altri di sua fiducia, cosa che il Papa non poteva fare. Anche per questa ragione le famiglie nobili romane erano tra le più ricche e potenti. Tra l’altro, in questo modo, la gente vessata dall’usura, non se la sarebbe presa contro i ricchi che gli prestavano realmente i soldi, ma contro i Giudei che apparivano loro come gli effettivi prestatori e usurai. E poi l’aveva scritto anche il Papa che i Giudei sono usurai, e quindi anche per questo, esecrabili e dannati.

Da ricordare anche i decreti LXVIII e LXIX, con i quali veniva imposto ai Giudei di vestire in modo da distinguersi dai Cristiani, e veniva loro vietato l’accesso a pubblici incarichi.

La storia degli Ebrei usurai, le persecuzioni e i pogrom nei periodi di crisi, nascono così. Agli Ebrei è stato imposto dalla Chiesa di apparire di fronte al popolo come gli usurai che lo vessavano, così da nascondere i potenti e ricchi finanzieri che gli davano i mezzi per farlo. Gli Ebrei erano allora artigiani, operai, piccoli negozianti, contadini che si aiutavano tra loro per via della religione non diversamente da come fanno i valdesi o gli ortodossi o gli stessi Cristiani tramite le organizzazioni religiose. Non avevano certo le disponibilità né le ricchezze né la possibilità di accumularle che era data ai grandi feudatari. Tanto meno, potevano avere un feudo né proprietà terriere estese da cui trarre denaro e potere. La solidarietà per via religiosa era quella indicata nel Deuteronomio, ma era molto più rudimentale di una Mutuo Soccorso così come sono sorte e si sono sviluppate tra gli operai nell’ottocento. Solo che trattandosi di solidarietà tra dannati, l’effetto non poteva essere che esecrabile, e da qui l’idea che da queste relazioni sociali derivassero i fondi per l’usura praticata dagli Ebrei. I finanzieri di tutti i tempi hanno l’abitudine di rimanere nell’ombra nascondendosi dietro qualcun altro. Bruto aveva due agenti, Scaptius e Matinius, che presentò a Cicerone come suoi amici ed effettivi prestatori dei soldi alla città di Salamina. Quando Cicerone li cacciò perché pretendevano un interesse quadruplo di quello massimo consentito dalla legge, Bruto scrisse a Cicerone confessando che in realtà i soldi erano suoi.

La questione ebraica fu un libro scritto da Bruno Bauer ai primi dell’ottocento sulla discussione che si accese dopo la rivoluzione francese della restituzione agli Ebrei dei diritti di cui godevano tutti gli altri cittadini. Agli Ebrei tali diritti erano stati compressi da tempo, e i decreti di Innocenzo sono una pietra miliare di tale trattamento. In Francia gli Ebrei avevano ottenuto con una legge del 1791 la completa eguaglianza con gli altri cittadini, e anche in Germania negli anni successivi furono promulgate leggi simili tranne che nel sud della Germania che resisteva a tale equiparazione. Bauer sosteneva che il problema non era tanto l’eguaglianza degli Ebrei con cittadini che erano comunque oppressi dallo Stato, ma la liberazione di tutti i cittadini, indipendentemente dal loro status o dalla loro religione. La Germania era una stato confessionale e l’emancipazione dei cittadini doveva avvenire tramite il superamento di tutte le religioni. In un famoso commento a tale libro, Marx criticò la tesi di Bauer nei confronti delle religioni, portando l’esempio degli Stati Uniti nei quali, allora, diverse confessioni religiose non impedivano affatto l’emancipazione politica dei cittadini. Sostenne, tuttavia, che la vera emancipazione era quella economica, che sarebbe derivata solo dalla liberazione dalla schiavitù del capitale.

Il problema è quanto mai attuale. I popoli di tutto il mondo sono oppressi dal capitale finanziario che impedisce lo sviluppo delle qualità e della creatività umane e genera oppressione, guerre e impoverimento. Questo è il punto che dovrebbe unire tutti gli umani di qualunque provenienza o religione o cultura, la lotta contro il potere finanziario, l’ultima e la più potente e subdola delle maschere che il Potere ha assunto nella storia, per raggiungere la liberazione e la piena espressione di tutte le capacità umane.

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