Della semplicità delle idee – ovvero, perché dobbiamo dirci (di nuovo) comunisti

In tempi come questi, in cui la Storia si mette a correre inseguita con affanno da un’umanità che fa fatica a capire in che direzione si sta muovendo, ritrovare il senso originario delle idee è (forse) l’unico modo per cercare di trovare un senso compiuto agli eventi che si susseguono con ritmo incessante e frenetico. In fondo le idee sono semplici nelle loro contrapposizioni: la libertà si contrappone alla schiavitù, l’uguaglianza al classismo, la rivoluzione alla conservazione. Qui c’è però da fare un po’ di attenzione: scriveva Apostel, interpretando Hegel, che ogni rivoluzione è intrisa di conservazione, utilizzando un termine – intrisa – che rende perfettamente l’idea dell’origine della confusione che stiamo vivendo in questo momento. La rivoluzione industriale ha sancito l’inizio del capitalismo moderno. La chiamiamo “rivoluzione” perché in effetti ha completamente rivoluzionato i rapporti sociali ed economici che allora si fondavano su un patto secolare tra nobiltà e contadini che i nuovi modi di produzione avevano reso del tutto inutili e controproducenti. Tuttavia, il capitalismo moderno era a sua volta fortemente conservatore di rapporti di sfruttamento degli ex artigiani e contadini divenuti operai di fabbrica, che trattava come schiavi, come e a volte peggio dei nobili latifondisti.

La storia ha visto nascere i movimenti socialisti e comunisti alla ricerca di un’alternativa al capitalismo che nella sua crescita tumultuosa arricchiva le classi dominanti e immiseriva la grande maggioranza della popolazione in modo brutale e intollerabile. Basta leggere le pagine di Adam Smith o un po’ di letteratura dell’ottocento per capire il livello di brutalità che comportava il lavoro in fabbrica di uomini, donne e bambini strappati dalla loro vita in campagna, miserabile anch’essa, certo, ma almeno dignitosa e non priva di umanità. Marx notava che l’artigiano del paese, nella grande fabbrica perdeva la capacità creativa che per secoli ne aveva caratterizzato l’opera, e diventava alieno a sé stesso, un ingranaggio di un meccanismo molto più grande di lui e sostanzialmente incomprensibile, nel quale la sua creatività svaniva del tutto. Nascevano le Leghe operaie, i sindacati, i partiti, le mille scuole che disputavano il possesso della verità rivoluzionaria e della strada per costruire una società migliore. Poi le rivolte operaie, per lo più soffocate nel sangue, fino alla rivoluzione di ottobre in Russia. Che fu più che altro una rivolta popolare contro lo Zar colpevole dell’umiliazione subita dalla Russia nella guerra contro i giapponesi e quella che si prospettava nella guerra contro la Germania prussiana. Poi i bolscevichi, guidati da un geniale Lenin, riuscirono nell’impresa di rovesciare il debole governo pseudo borghese che si era insediato dopo la rivoluzione di febbraio 1917 e la deposizione di Nicola II, ma subirono la reazione dei regimi dominanti dell’Occidente anglosassone che fomentarono la guerra civile in cui la migliore generazione russa del secolo scorso fu decimata.

Dopo la morte di Lenin, il potere fu preso dall’unica struttura che era rimasta intatta durante il tumultuoso periodo precedente, la burocrazia zarista che finì per ridurre a vuote espressioni prive di contenuto le meravigliose intenzioni del partito comunista. D’altra parte era difficile, se non impossibile, portare alla piena coscienza della liberazione un paese abitato per lo più da gente che era rimasta serva della gleba fino a cinquant’anni prima e che, in fondo, in molte zone della Russia profonda, lo era ancora, e che era sostanzialmente privo anche di una classe operaia sufficientemente numerosa e cosciente per diventare la guida di un movimento rivoluzionario, come avevano teorizzato Marx ed Engels.

Socialismo o barbarie, gridava Rosa Luxemburg nella Germania umiliata dalle sanzioni degli avidi anglosassoni dopo la sconfitta nella grande guerra, e in cui la classe operaia cosciente e numerosa c’era, ma non fu abbastanza forte da vincere le storture che il nazismo imposte al socialismo tedesco, portandolo nell’abisso del razzismo e del militarismo nazionalista e della guerra contro l’avidità degli inglesi. In Russia, Stalin che conosceva bene lo spirito profondo delle popolazioni della Russia, impose il socialismo in un paese solo, contro Trotskij che vagheggiava una rivoluzione di tutti i proletari del mondo contro il capitale. Bella da ideare, difficile se non impossibile da realizzare. Per i russi, sia per la burocrazia che per i popoli, la brutale concretezza di Stalin era decisamente più aderente all’idea condivisa dello stato e garantiva continuità con l’impero zarista. Con un territorio pari a quasi un terzo delle terre abitate del mondo, con trenta popoli, costumi, abitudini, religioni, etnie, lingue e aspirazioni diverse, la Russia sentiva fortemente il bisogno dell’unità che le garantiva la figura di un sovrano, comunque di un capo. Lo era lo Zar, ma poi si era rivelato incapace di tutelare la dignità imperiale delle russie e doveva essere sostituito da una figura più capace. Iosif Vissarionovič Džugašvili, che non a caso veniva detto Stalin, ovvero l’acciaio (Cталь), era perfetto per quel ruolo. Oltretutto non era nemmeno russo, ma georgiano, e questo assicurava gli altri popoli sul fatto che il sistema avesse una visione e una pratica imperiale, così come era stato per l’impero romano e quello bizantino di cui Mosca voleva essere la continuazione, in cui gli imperatori provenivano da ogni parte dell’impero e non necessariamente da Roma o da Bisanzio.

Insomma, il comunismo in Russia era solo un modo diverso di chiamare e realizzare l’impero, un sistema di governo chiuso e autoritario fino alla ferocia contro i nemici esterni e soprattutto interni, non certo quella fucina di idee, creatività, pratiche rivoluzionarie, unità del proletariato che Marx aveva vagheggiato e poi Lenin e Trotskij avevano cercato invano di avviare a costruzione. Si badi bene che era un impero difensivo contro i nemici esterni alla Russia che nella storia sono sempre stati numerosi e pericolosi, a partire dalla Crociata dei Cavalieri Teutonici alleati di Estoni e del Regno di Livonia e con la benedizione di Celestino III e Innocenzo III che avevano chiamato i cristiani alle Crociate nel sud e nel nord, e con l’incitamento di Papa Gregorio IX che aveva unito le forze dell’Ordine Teutonico di Prussia e di Livonia, i Vescovi di Riga e di Dorpat, la Svezia e la Danimarca, che venne sconfitta nel 1242 nella celebrata battaglia del Lago Ghiacciato da Alexandr Nevskij, principe di Novgorod. Nella storia della Russia, le invasioni di aspiranti conquistatori sono innumerevoli: Polacchi, Tedeschi, Estoni, Turchi, Mongoli, Tatari, Svedesi, Ungheresi, Giapponesi, Francesi, Inglesi, Austriaci, hanno provato a turno a soggiogare la Russia senza mai riuscirci se non per brevi periodi uscendo sempre sonoramente sconfitti. E’ questa la ragione profonda della sindrome di accerchiamento che vive la Russia da quasi mille anni. Difficile dargli torto. I Nazisti tentarono l’eliminazione fisica non solo degli ebrei ma soprattutto degli Slavi: l’operazione Barbarossa fu una guerra di sterminio e di distruzione delle popolazioni della Russia che i Nazisti, così come i loro predecessori teutonici, consideravano una razza inferiore da far scomparire dalla faccia della terra. I trenta milioni di Russi morti nella seconda guerra mondiale stanno a mostrare come feroce fu l’assalto nazista e altrettanto feroce fu la resistenza dei Russi, a Leningrado, come a Stalingrado, come sul Volga. Simbolo di questa straordinaria resistenza è la meravigliosa Settima Sinfonia di Shostakovich composta durante i terribili mesi dell’assedio di Leningrado e rappresentata davanti a un pubblico stremato dalla guerra e dai bombardamenti e affamato dall’assedio ma mai domo che accorse in massa a sentire la musica che incarnava il suo spirito.

Se in Russia e in Europa orientale il comunismo aveva indossato le vesti dell’imperialismo russo, nel resto del mondo, al contrario, esso continuò a rappresentare la speranza di cambiamento e di rivoluzione di decine di milioni di uomini in ogni angolo del mondo. Era la rivolta contro il capitalismo e l’imperialismo anglo americano a spingerli, in America Latina, come in Asia, come in Africa come, per un certo tempo, anche in Europa, dove alla fine la spinta rivoluzionaria si era tradotta nel riformismo delle socialdemocrazie soprattutto nei paesi del Nord e nella costruzione di stati sociali sensibili ai bisogni delle classi più deboli. La reazione del capitale fu feroce in alcuni paesi, come in Cile, in Bolivia, contro Cuba, in Argentina, in Guatemala in Vietnam, nel Laos, e subdola in altri, a partire dall’assassinio di Olof Palme reo di essere uno dei realizzatori in Europa della socialdemocrazia di successo, che tra l’altro, ha dato asilo a tanti giovani disertori dell’assurda guerra del Vietnam. A Parigi, durante le giornate del maggio francese, la gente scendeva nelle strade non solo a manifestare, ma soprattutto a discutere della nuova società e di come liberarsi del potere gollista. Si informava, si discuteva, si organizzava, si studiava.

Con molta più superficialità e per un periodo decisamente più breve, la stessa cosa è accaduta in Italia durante il ’68. Poi la violenza, le semplificazioni, le demagogie, le false narrazioni, gli attentati, le provocazioni, le crisi, le necessità quotidiane, hanno preso il sopravvento. La distruzione della scuola ha fatto il resto. Durante il ’68 la nostra critica del nozionismo nella scuola e nell’università era fondata sulla mancanza di strumenti per formare uno spirito critico negli studenti. La conclusione è stata la distruzione anche del nozionismo, e certi riferimenti elementari alla storia nostra e a quella del mondo sono diventati incomprensibili. La maggior parte delle persone, oggi, hanno serie difficoltà a collocare cronologicamente certi eventi importanti della storia, dalla morte di Giulio Cesare alla rivoluzione francese e a quella americana. Se si ignora il contesto in cui è vissuto Giordano Bruno, le filosofie che ha incontrato, le forze contro cui ha combattuto, come si potrà mai comprenderne il pensiero? Dalla critica dell’uomo a una dimensione di Marcuse, siamo passati all’uomo senza dimensione alcuna, acculturato sulle mistificazioni del mediatico. Eliminando le nozioni hanno eliminato il problema. La coscienza della liberazione si è ristretta a pochi circoli di intellettuali irriducibili alle lusinghe del sistema. Alcuni li hanno proprio eliminati fisicamente, la maggior parte li hanno eliminati mediaticamente, impedendogli di accedere a qualsiasi strumento di diffusione di massa, dove vige il “Pensiero Unico” di orwelliana memoria. Il Pensiero Unico ha trionfato in tutto il mondo occidentale, mentre nel resto del mondo, dove questo pensiero unico si traduceva in guerre, spoliazioni, rapine, miseria e usurpazioni di ogni sorta, la rivolta è stata soffocata nel sangue.

Dopo la caduta dell’URSS, anche in Russia l’ammirazione per l’occidente raccontato dai media ha portato a una breve stagione di “democrazia”, tranne poi a scoprire che quella narrazione era falsa come una moneta da tre euro e che la realtà era fatta di spoliazione, di oligarchie, di potentati, di miseria e di appropriazione delle ricchezze naturali, oltre che di devastazione culturale. Questo è ciò che siamo stati capaci di offrire, altro che democrazia.

La politica per tornare ad essere tale, ovvero il governo della “polis” nell’interesse dei cittadini, di tutti i cittadini, deve ritrovare il senso delle contrapposizioni di fondo e delle scelte di campo. La lotta è contro il capitale finanziario che sta cercando di imporre il suo dominio su tutto il mondo, tra la libertà e la servitù, tra l’uguaglianza sociale e le nuove plutocrazie, tra la dignità delle persone e il loro asservimento, tra la verità dei fatti e le mistificazioni dell’informazione. Internet può essere un grande strumento di libertà, e forse è per questo che il rumore delle guerre sta cercando di sovrastarne la voce. E soprattutto occorre diffondere lo spirito critico e il rispetto per le opinioni altrui: per le opinioni e non per gli insulti che i media fanno a gara a mostrare ed esaltare, con lo scopo malcelato di dimostrare che essi solo sono la fonte di informazioni attendibili.

Dobbiamo ripartire dallo studio, dalla cultura, dalla critica, dal confronto civile ed animato da onestà intellettuale, dall’elaborazione di modelli di società alternativi alle pseudo democrazie dell’occidente, ma anche alle autocrazie dell’oriente. La contrapposizione di fondo in questo periodo è tra il capitalismo finanziario degli Usa e la nascente unione dei paesi terzi che rifiutano le ricette del FMI, degli americani e degli europei per creare un’alternativa al dollaro e al suo dominio deciso a Bretton Woods nell’ormai lontano 1944. I Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) allargati ad Arabia Saudita, Iran, Argentina ed altre innumerevoli nazioni “terze” stanno cercando di costruire un’alternativa al dollaro e all’euro. Tuttavia non rappresentano una strada politica proprio perché gli manca un’idea comune di nuova società e sono a loro volta attraversate e scosse da contraddizioni potenti. L’autocrazia religiosa iraniana o quella saudita sono difficilmente conciliabili con ogni idea di nuova società fondata sulla libertà, eguaglianza, dignità e giustizia sociale. In fondo si tratta dello scontro finale tra due forme di potere: quello fondato sulla finanza globale, e quello che vuole costruire un mondo multipolare che faccia convivere diverse e specifiche forme di potere nazionale o regionale, con tutte le contraddizioni e le incognite che questo comporta.

Dobbiamo creare un nuovo modello, partendo dalle meravigliose pagine dei Grundrisse e da quelle lucide del Capitale in cui Marx descrive la parabola attualissima del potere economico. Dobbiamo ritrovare lo spirito della Comune di Parigi che fu poi ripreso dai Soviet durante la rivoluzione, prima che fossero svuotati di ogni spinta rivoluzionaria. Lo spirito di discussione e di ricerca delle giornate del ’68, lo spirito di contrapposizione ad ogni forma di potere, perché la storia ci ha insegnato che combattere un potere con le sue stesse armi è spesso disastroso e se riesce ad imporsi finisce per generare un potere ancora più spaventoso di quello che ha scalzato. Siamo in grado di costruire una società che si fonda sulla creatività, sull’intelligenza, sull’umanità, sulla libera circolazione delle persone e delle cose in tutto il mondo. Una società il cui il potere sial minimo fino a scomparire del tutto. Una società che esalti la solidarietà, ma non il sacrificio, ma l’arricchimento di tutti. Sappiamo che è possibile oltre che auspicabile. E’ possibile perché la vera fonte dell’arricchimento è l’umanità e la sua capacità di generare e rendere attuali idee, progetti, innovazioni, conoscenze, in una crescita culturale e di relazioni che è l’essenza di qualsiasi società. Una società in cui l’egoismo individuale sia la molla che faccia scattare la creatività delle persone: le religioni ci hanno mostrato che il sacrificio per gli altri è la regola per i santi, ma non per le persone comuni nelle quali genera solo tumulti di ipocrisia. Noi possiamo dimostrare che ci sono ambiti e strutture in cui il proprio interesse egoistico si persegue al meglio adottando un comportamento solidale. Ce l’ha dimostrato la Teoria dei giochi, e si tratta solo di renderlo evidente agli occhi di tutti.

Per questo dico che dobbiamo tornare a dirci comunisti, ritrovando il senso originario di questo movimento dello spirito. Questa volta non per cercare la dittatura del proletariato ma per costruire dal basso una società che si fondi su nuovi principi di egoismo solidale, di uguaglianza effettiva, e di giustizia sociale. Dobbiamo farlo prima che lo scontro tra i poteri porti all’annientamento dell’umanità. Questo è il colpo di coda della logica del potere, al quale non importa di che colore sia la maglietta di quello che comanda, purché ci sia qualcuno che comandi e domini il mondo. Se riusciremo ad estirpare questo cancro dall’animo degli umani, saremo liberi: altrimenti sarà la fine dell’umanità in un olocausto generale senza vincitori e vinti. In fondo è semplice: da un lato le logiche del potere, dall’altro l’umanità che rigetta il potere come strumento di regolazione dei rapporti tra gli umani e vuole vivere in comunione con sé stessa. Appunto, un nuovo comunismo.

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