Della sostituzione etnica, della razza, dell’etnia e di altre simili amenità

Racconta Tito Livio che quando i Romani decisero di rapire lo donne sabine Tito Tazio, re dei Sabini (si fa per dire, in realtà le cose era un poco diverse, ma è lunga da spiegare), non la prese benissimo e spinto dai parenti delle donne rapite cercò di organizzare un esercito per andare a dare una lezione ai Romani e liberare le donne. Il problema fu che i Sabini avevano probabilmente un’organizzazione sociale di tipo gilanico, con pochi uomini e villaggi in cui vigeva il principio femminile e un’atavica inconciliabilità con le pratiche guerresche dei Romani, e quindi Tazio fu costretto a rivolgersi ai popoli che vivevano lì intorno. Ceninesi, Crustumini e Antemnati accorsero a ingrossare le fila dell’esercito di Tazio ma, ahimé, erano pochi poco avvezzi alle armi anche se i Ceninesi, a quanto pare particolarmente bellicosi, decisero di marciare da soli contro i Romani venendo sconfitti duramente e dispersi nell’agro laziale.

Fu un caso di sostituzione etnica? Ciascuno di questi popoli aveva una propria etnia, con la quale si intende (deduco dalla Treccani) un “Aggruppamento umano fondato sulla comunità o sulla forte affinità di caratteri fisico-somatici, culturali, linguistici e storico-sociali“, ben distinta da quella dei Romani che avevano deciso di fondersi con loro anche contro la volontà di questi popoli. Alla fine, Tazio arriva a Roma con un esercito raccogliticcio e, dopo qualche scaramuccia, si mette d’accordo con Romolo per stanziarsi nella cittadella da poco fondata ma già così invadente. I Sabini di Curi prendono il nome di Quiriti per distinguersi dai Romani originari, ma alla fine la sineddoche Quirites indicò tutti i cittadini di Roma e non solo i Sabini di Curi. I Romani condussero operazioni simili in tutta Italia, dove le etnie erano particolarmente numerose. Un elenco non completo vedeva le seguenti etnie italiche, tutte frutto di diverse migrazioni indoeuropee (ma non è tanto chiaro): Latini (compresi i Falisci), Capenati, Siculi, Ausoni-Aurunci, Campani, Opici, Enotri, Itali (suddivisi in Morgeti, Siculi), Elimi, Sabini,Piceni, Umbri, Sanniti (Carricini, Pentri, Caudini e Irpini), Osci, Lucani (tra i quali gli Ursentini), Bruzi, Sabelli Adriatici (Marsi, Peligni, Marrucini, Frentani, Pretuzi, Vestini), Apuli, Sabelli tirrenici (Ernici, Equi, Volsci). Non è tanto chiara perché tra i Messapi, oltre agli Apuli c’erano anche i Luceri che alcuni studiosi indicano come una delle tre tribù che fondarono Roma (Ramnes, Tities, Luceres) e che appartenevano a un’etnia affatto diversa da quella dei Luceri.

Insomma, quando si parla di sostituzione etnica, bisogna essere precisi e dire con esattezza di quale etnia stiamo parlando. Perché se quella era più o meno la situazione all’epoca della fondazione di Roma, nei duemila settecento e passa anni successivi è successo di tutto e qui di etnie e popoli di ogni genere ne sono transitati e stanziati parecchi. Al punto che trovare qualche discendente dei Romani è praticamente impossibile. Anche perché nell’ormai lontano 546, dopo aver conquistato Roma, il condottiero dei Goti Totila decise di deportarne gli abitanti a Cuma lasciando la città completamente deserta per oltre nove mesi, ed è altamente probabile che quell’ethos sia andato definitivamente perduto. L’elenco dei popoli che si sono succeduti in Italia da allora è talmente lungo e complesso che un trattato non sarebbe sufficiente a contenerli tutti, anche perché di molti sappiamo ben poco e di certi fatti privati la gente non ama parlarne troppo. La “Tammurriata nera” di tradizione partenopea è anch’essa una descrizione divertente dello stesso concetto.

La vignetta di Natangelo che ho messo in apertura, riassume in modo efficace e divertente il concetto di “sostituzione etnica“. Naturalmente qualcuno si è offeso perché ha interpretato la vignetta come se gli avessero dato del “cornuto”, e allora alti lai e contumelie, istituzioni in movimento, Ordini in subbuglio e, tranne l’esercito, che ha altro cui pensare in questo periodo, in pratica l’intero paese è corso alle armi a difendere l’onore violato. E allora, il buon Natangelo ne ha fatta un’altra delle sue, una di quelle vignette che stroncano ogni discussione, anche se il concetto di “sostituzione etnica” resta immutato.

Ma insomma,di cosa stiamo parlando? Il problema semmai, è un altro che in pochi hanno individuato e per il quale nessuno fa niente. In qualche modo in Italia si è formata una cultura frutto delle innumerevoli stratificazioni che l’hanno arricchita e sviluppata, facendo del nostro paese uno dei più ricchi culturalmente al mondo. Il problema è che da almeno trent’anni assistiamo a una forte emigrazione di persone di buona cultura che vengono sostituite da persone che provengono da ambienti completamente diversi, da culture diverse, e non c’è nessuno che si occupi dell’integrazione di queste persone nella nostra società. Non è un problema semplice da risolvere, soprattutto se l’immigrazione è di massa e gli immigrati tendono a replicare qui i loro riti, le loro abitudini, le proprie culture. Spesso sembra che invece di un arricchimento, questo porti a un impoverimento del sostrato culturale in cui viviamo, anche perché è fonte di incomprensioni, conflitti, violenze, contrapposizioni che alla fine possono incidere pesantemente sul livello di civiltà che la nostra società ha faticosamente raggiunto nello scorso secolo. Mi riferisco in particolare all’atteggiamento di certe culture nei confronti delle donne, che sta riportando la considerazione verso le donne a tempi oscuri che sembravano definitivamente superati nel nostro paese. Penso ai comportamenti e atteggiamenti tipici di alcune società del mezzogiorno d’Italia, a norme come il delitto d’onore e altre simili sconcezze che dopo dure e lunghe battaglie sono state abolite. La triste storia della ragazza pachistana uccisa brutalmente dai parenti perché ha osato vestire all’occidentale e persino innamorarsi di qualcuno che non apparteneva alla sua etnia (a proposito!), ci ha riportato indietro di una centinaio di anni, quando questo genere di delitti non era affatto infrequente nel nostro paese.

Integrazione è una pratica complessa e difficile, perché non significa assimilazione o peggio identificazione, che toglierebbe all’integrazione il suo carattere innovativo, ma consiste nella costruzione di relazioni, che hanno come presupposto i diritti inalienabili della persona, tra idee diverse con l’obiettivo di trovare le cose in comune e le pratiche che possono generare creatività a vantaggio di tutta la comunità. Il problema è che è sbagliato il presupposto di questa immigrazione, che viene vista essenzialmente come un modo per recuperare mano d’opera a basso costo, caratterizzato da un forte sfruttamento e da un sostanziale isolamento degli immigrati. E’ ovvio che questo modo di gestire l’immigrazione finisce per generare divisioni, incomprensioni e conflitti, come peraltro è già accaduto in Francia, in Germania, in Svezia e negli altri paesi europei dove c’è stata una forte immigrazione. Dovremmo fare uno sforzo collettivo per cercare di realizzare un’integrazione che non mortifichi le individualità culturali e che sia di stimolo per un arricchimento della nostra società, Allo stesso tempo, dovremmo cercare e con urgenza, di limitare il più possibile l’emigrazione di persone di elevato livello culturale che trovano altrove una migliore collocazione, senza i lacci e lacciuoli che la nostra onnipresente burocrazia impone al talento fino a soffocarlo e costringerlo all’emigrazione. Se negli ultimi vent’anni la produzione culturale (in ogni campo) del nostro paese è particolarmente scadente credo che sia il caso di porci delle domande serie su come fare per invertire la tendenza, magari partendo da una riforma seria della scuola e delle università e della ricerca.

Il problema è quindi, fare cultura, non fare figli. Che è una scelta personale che in genere non dipende da questioni economiche ma da altro genere di pulsioni che il buon Natangelo mette efficacemente in luce: il proletariato nel nostro paese non esiste più da un pezzo. Mentre fare cultura è e deve essere un problema e una scelta condivisa da tutta la comunità umana, e alla quale ciascuno ha il diritto e dovere di apportare la propria specificità creativa. (Va beh, se però poi si prende la Venere di Botticelli, la si svuota di ogni significato e allegoria, di cui le opere di Botticelli sono ricchissime, per metterla a fare la scemetta da social network, è difficile pensare a una qualche svolta sul piano culturale… ).

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