A proposito di patriarcato, LGBTQ+, ed altre questioni intorno alla sessualità.

In una società realmente aperta e libera, le polemiche, gli scontri, le discussioni infinite, la modellistica pure nella grammatica e nella sintassi sull’argomento del titolo, si dovrebbero risolvere e chiudere molto velocemente, semplicemente affermando che ciascuno è libero di fare della propria vita sessuale quello che ritiene più opportuno. Senza, naturalmente, imporre alcunché a chicchessia. In realtà non è proprio così, e se ci sono questi scontri feroci e polemiche sanguinose, non dipende solo dal fatto che nel mondo ci sono molte persone che ritengono, cristianamente o anglicanamente, fate voi, che la vita sessuale debba essere regolata da una Chiesa se non da un governo e non dalle scelte di ciascuno. La questione è molto più profonda e complessa di quanto appaia, e cercherò di farne un quadro sintetico ma, spero, chiaro.

L’amore è l’amore, afferma giustamente la bandiera che ho messo come simbolo di questo articolo. E se uno si innamora di una persona del suo stesso sesso non si capisce per quale ragione non potrebbe farlo o debba invece vergognarsi e nascondersi. Ma questo è l’ovvio è non è necessario discuterne. E’ invece necessario, come al solito, fare un po’ di storia, perché questo è l’unico modo per arrivare alla radice del problema e capire le vere ragioni che si agitano dietro la questione. Che sono ragioni che coinvolgono il futuro e la continuità della specie, e quindi vanno prese profondamente sul serio.

La storia ci dice che nell’antichità l’omosessualità, la bisessualità e le fantasie sessuali più originali erano in realtà molto diffuse. Non si racconta spesso, ma si sa perfettamente che Giulio Cesare era un perfetto bisessuale, al punto che Curione padre lo definì “Il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti” di Roma e, come riferisce Svetonio, “Bibulo [console nel 59 a.c. con Cesare] chiamò il suo collega «regina bitinica, al quale un tempo stava a cuore un re ed ora sta a cuore un intero regno»”. Nel dialogo di Platone “Il Simposio“, Alcibiade si meraviglia del fatto che Socrate non l’avesse sedotto ancorché avessero dormito nello stesso giaciglio, ed egli era profondamente innamorato del maestro. Saffo, forse la più grande poetessa dell’umanità, era notoriamente omosessuale e il Tiaso era la scuola dove le ragazze imparavano l’amore tra di loro e si preparavano al matrimonio con un uomo. Matrimonio che era un dovere, ma che non aveva niente a che fare con l’amore che nell’antichità, era essenzialmente una relazione omosessuale o comunque libera da ogni legame. Alla stessa conclusione giunse Maria Contessa di Champagne, sorella di Eleonora di Aquitania, che fu regina di Francia e di Inghilterra, e che nel 1174 nel castello di Troyes con la propria corte (tra cui spiccava Chretién de Troyes, il cantore autore del Tristano e Isotta), organizzò un “processo al matrimonio” che si concluse con un verdetto che escludeva in modo categorico che tra il matrimonio e l’amore vi fosse alcuna correlazione. Insomma, il matrimonio era un’istituzione necessaria, ma l’amore era tutta un’altra cosa.

D’altra parte nell’antica Roma il matrimonio aveva la precipua finalità di “liberorum creandorum causa“, ovvero fare figli, come disse il Censore Quinto Cecilio Metello Macedonico nel 131 ac in un’orazione citata da Aulo Gellio e letta da Augusto quando questi presentò le sue leggi per l’incremento delle nascite: “Si sine uxore possemus, Quirites, omnes ea molestia careremus; set quoniam ita natura tradidit, ut nec cum illis satis commode, nec sine illis uno modo vivi possit, saluti perpetuae potius quam brevi voluptati consulendum est” (Aulus Gellius, Noctes Atticae 1, 1-6) [Se potessimo vivere senza donne faremmo volentieri a meno di questa seccatura (ea molestia) ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della razza piuttosto che ricercare piaceri effimeri].

E’ stata Marija Gimbutas, l’archeologa e sociologa estone naturalizzata americana a descrivere in modo più accurato di quanto non abbia fatto il pur lodevole “Mutterrecht” di Bachofen, le relazioni sessuali e sociali delle società gilaniche, ovvero quelle società fondate su un principio femminile che impropriamente Bachofen definisce “matriarcali” poiché il termine comprende il principio della “Archè” che è una delle forme del potere. Nelle società fondate sul principio femminile, in realtà il potere non esisteva affatto, la Grande Madre era il riferimento e l’identificazione di tutti i membri della comunità, ma non esercitava alcun potere, non ce n’era alcuna necessità. Erano le società del “dono” che Marcel Mauss descrisse nei suoi lavori anche in riferimento alle pratiche del “Potlach“, ovvero della distribuzione a tutti i membri della comunità in occasione in genere delle cerimonie per il solstizio di inverno degli eccessi di produzione realizzati durante l’anno, doni che erano fatti per ringraziare gli dei per l’abbondanza donata, per invitarli a far risorgere il sole dopo il solstizio (la paura che continuasse a scendere sull’orizzonte era atavica), e per rinforzare i legami sociali.

Le società gilaniche erano sostanzialmente prive di violenza, ma avevano due grandi problemi da risolvere per la continuazione della specie. Il primo problema era il fatto che erano le donne a scegliere il maschio con cui procreare durante le feste rituali (il matrimonio non esisteva affatto). Questo comportava che i tipi genetici tendevano a ridursi, poiché molte donne sceglievano lo stesso maschio (anche la gelosia era inesistente), ma anche tensioni con gli altri maschi “esclusi” dalle scelte e che spesso venivano cacciati dal villaggio o comunque vivevano ai margini di esso. Spesso, fondavano villaggi di soli uomini esclusi dai villaggi gilanici. In questi villaggi la pratica sessuale corrente era l’omosessualità, così come lo era nei villaggi gilanici dove le donne vivevano tutte assieme nell’edificio centrale dove c’era la grande madre. Il rischio era però l’estinzione dell’umanità. Anche se quegli umani non ne erano coscienti, il rischio c’era, e sostengo che fu il “gene egoista” di Richard Dawkins a indurre gli umani a un cambio radicale di comportamenti sessuali e conseguentemente sociali.

L’altro grave problema era che gli umani avevano scarsa o nulla coscienza di sé. Il mito di Narciso ne è la perfetta sintesi: Narciso scopre sé stesso guardandosi in una polla d’acqua e si innamora di sé. In altri termini scopre la propria individualità che gli era completamente sconosciuta. Le Erinni provano a dissuaderlo da questa “insana” passione avvisandolo che l’avrebbe portato alla morte (vale a dire alla fine delle società in cui la coscienza era nell’identificazione con la grande madre) e Narciso effettivamente muore, ma ormai il dado è tratto e la conoscenza di sé diventa una necessità ineluttabile per gli umani. Non sappiamo come siano nate le società Kurgan, ovvero le forme arcaiche di patriarcato, così dette perché ad un certo punto, intorno al quarto millennio, nell’est dell’Europa compaiono i tumuli – detti Kurgan – in cui erano sepolti maschi generalmente con le armi. Nelle società gilaniche le sepolture erano in fosse comuni e, al massimo, era la grande madre ad essere sepolta sotto la casa delle donne. I Kurgan si estesero lentamente verso ovest e mano a mano le società gilaniche si convertirono. L’appropriazione con la violenza di un altro umano, fosse schiavo o donna, era un modo per prendere coscienza, poiché contrapponeva il sé all’altro da sé. I Kurgan avevano il culto delle armi che nelle società gilaniche venivano usate in pratica solo per cacciare gli animali. L’altro elemento tipico delle società kurgan era il denaro che sostituiva il dono nelle relazioni economiche e sociali.

In Italia i Kurgan arrivarono intorno alla metà del secondo millennio avanti Cristo, e si insediarono qua e là dando spesso vita a società miste in cui i principi delle società gilaniche e dell’indipendenza femminile rimasero ancora a lungo. Le comunità etrusche erano probabilmente una forma combinata di pratiche gilaniche con le logiche dei Kurgan. Riletta in questa chiave di interpretazione, la vicenda del ratto delle sabine acquista un senso ben preciso: Roma era una città fondata da maschi esclusi dai villaggi gilanici del Lazio, ma Romolo era un kurgan che uccide il fratello per il proprio potere, fatto questo impensabile in una società gilanica e che riassume in una sola immagine l’essenza della società patriarcale. Sulla storia del ratto delle sabine ho scritto diversi articoli ai quali vi rimando. Ricordo qui l’essenza: Romolo ordinò ai suoi di prendere ciascuno una donna e chiuderla in casa, per evitare che tornassero a praticare il sesso secondo le abitudini delle società gilaniche, ovvero con chi piaceva loro di più. Se circa mille donne della città di Cures, accompagnate da qualche decina di maschi “preferiti” avevano fatto una gita fino a Roma, che distava all’incirca 35 chilometri (occorrevano sei o sette ore per percorrerli a piedi), era perché volevano andare a fare una bella festa, vale a dire un’orgia collettiva, nella nuova città secondo le usanze delle società gilaniche. Per i Kurgan, era invece necessario che ogni maschio avesse la sua discendenza. Però dato che buona parte dei mille romani di allora praticava l’omosessualità e aveva un amante maschio, le donne chiuse in casa non rimanevano incinte per mancanza della necessaria attività sessuale. Fu Giunone alla quale si rivolsero le donne esasperate dal problema a dare il giusto consiglio, ovvero che le donne dovevano essere penetrate da un “caprone“, vale a dire da un maschio dotato di adeguati attributi e desideroso di pratiche eterosessuali e per questo fu istituita da Numa Pompilio la festa dei Lupercalia (da lupus e hircus, il lupo e il caprone), nella quale due schiere di baldi giovani delle gens Fabia e Quinzia giravano per tre giorni nella città alla ricerca di donne da penetrare e mettere incinta. D’altra parte se i mariti non provvedevano perché erano interessati ad altro, era pure necessario che qualcuno svolgesse la funzione essenziale liberorum creandorum causa.

Un particolare intreccio con l’altra pratica innovativa introdotta dal patriarcato fu con la questione del denaro. Giunone diede il suo consiglio alle donne in processione nel boschetto a lei sacro sotto il Palatino. In quel luogo fu poi edificato il tempo di Giunone Moneta, da monere che significa (tra l’altro) “consigliare”, visto che aveva dato un buon consiglio alle donne di Roma. Vicino al tempio di Giunone Moneta sorse poi la zecca dell’antica Roma e quello che veniva fuori da lì fu chiamato “moneta“, perché veniva fatto nelle vicinanze del tempio di Giunone. E Numa Pompilio, che fu il regolatore della vita dell’antica Roma e che conciliò le pratiche delle società gilaniche con quelle delle nascenti società patriarcali, oltre alle feste rituali in cui le donne potevano praticare sesso come meglio gradivano, istituì anche il mese dei pagamenti, il tredicesimo mese chiamato “Mercedonio” che veniva indetto dai Pontifices Minores ogni due anni, e che erano l’unico periodo dell’anno in cui era possibile esigere dai debitori il pagamento del debito.

La questione era di grande importanza a Roma come in tutto il mondo antico, poiché un debitore insolvente poteva essere fatto schiavo dal creditore, e le tensioni sociali che ne seguivano potevano essere letali per la società. Si trattava di convertire gente vissuta nella logica del dono che era invece necessario restituire i debiti e pagare gli interessi. Questa fu una “vexata quaestio” per tutta l’antichità, Aristotele sosteneva che le pietre (come era considerato l’obolo greco) non potessero dare frutti e il suo insegnamento fu preso da Sant’Agostino che lo impose alla Chiesa cristiana, al punto che per secoli gli interessi sui prestiti furono considerati un peccato mortale. Papa Innocenzo, nella sua Bolla del 1250 con cui chiudeva il primo Giubileo della Chiesa di Roma, lo ribadì a chiare lettere. Nella stessa Bolla, tuttavia aggiunse che gli Ebrei, in quanto “deicidi” (perché avevano messo a morte Gesù Cristo), erano di per sé in peccato mortale dalla nascita, il che significava che potevano benissimo dare soldi a prestito perché tanto un peccato mortale in più non avrebbe cambiato il loro destino di dannati. Fu così che i cardinali e i nobili di Roma, che erano quelli che avevano per davvero i soldi, presero ciascuno un povero ebreo dannato per l’eternità in quanto tale, tramite il quale prestavano soldi ad usura, così non finivano in peccato mortale. Ma questa è un’altra storia.

Tornando alla questione del sesso, in sintesi il patriarcato fu necessario per evitare l’estinzione dell’umanità minacciata dall’esiguo numero di tipi genetici che le pratiche sessuali delle società gilaniche generavano. Allo stesso tempo, la violenza fu lo strumento principale per prendere coscienza. Nell’antichità l’anima era prerogativa solo di chi era in grado di tenere in mano un’arma con cui difendersi. Per questa ragione, gli schiavi, le donne e i bambini non avevano l’anima, perché non erano in condizione di prendere un’arma o ne avevano perduto la possibilità. Avere un’arma significava anche avere il denaro, poiché la rapina era lo strumento principale di arricchimento delle società patriarcali. Si trattava di rapinare non soltanto beni fisici, ma anche e soprattutto le persone che venivano rese schiave. E d’altra parte gli schiavi erano come il petrolio o il gas di oggi, l’elemento fondamentale per la produzione di energia necessaria per la vita sociale. Tanto per dare un’idea delle proporzioni, ho calcolato che nei nove anni di guerre di conquista in Gallia, Cesare mandò a Roma circa un milione di schiavi, e il “valore” di questa “merce” rappresentò il 90% di tutto quello che le tribù della Gallia furono in grado di fornire a Roma nello stesso periodo, tributi compresi. Chi non aveva denaro, doveva vendere i figli o sé stesso per ripagare i debiti contratti con i ricchi possidenti e usurai di allora. Basta leggere le illuminanti cronache di Salviano di Marsiglia per capire le vere ragioni della caduta dell’Impero romano e del fatto che la gente fuggisse dalle “civilizzate” città per andare a stare con i barbari, che erano un po’ rozzi e non si lavavano, molto erano più umani degli strozzini della civiltà romana.

Nel corso dei millenni trascorsi dall’avvento del Patriarcato, la pratica di violenza si è raffinata al punto che ora la sopravvivenza della specie umana è di nuovo in pericolo, poiché l’arma estrema di distruzione, la bomba nucleare, incombe come una minaccia irreversibile su tutta l’umanità.

La questione del superamento del patriarcato, come logica di sopraffazione e di violenza, di potere, di appropriazione dell’altro e di creazione di coscienza per questa pratica di contrapposizione del sé all’altro da sé, è divenuta quindi la questione della sopravvivenza dell’umanità alla distruzione totale che lo sviluppo del patriarcato porta in sé stesso. Il patriarcato ha consentito la moltiplicazione dei tipi genetici e la salvezza della specie, ma ora ne minaccia la distruzione totale. Da un altro punto di vista, l’umanità ha elaborato strumenti e pratiche formidabili per favorire la coscienza di sé, come la stampa e internet, per esempio. La diffusione della conoscenza non è mai stata così estesa come ora in tutta la storia dell’umanità. Basti pensare al fatto che la conoscenza è sempre stata privilegio dei pochi addetti alla gestione del potere, mentre ora chiunque può attingere a una biblioteca pressoché infinita di conoscenze senza che il potere possa impedirlo. Naturalmente il patriarcato e le logiche del potere sono dure a morire, e non è detto che non ci trascinino tutti nel mondo delle “freedom fries”, le “patatine fritte della libertà”.

La libertà sessuale ha questo significato profondo di ribellione contro la logica del potere del patriarcato. Non c’è ancora l’alternativa, o almeno non si vede chiaramente, e se non viene alla luce rapidamente il rischio di finire tutti abbrustoliti cresce a dismisura. L’unica cosa che appare chiara è che una società dominata dalla menzogna e dall’inganno, come è con ogni evidenza la nostra società, non è destinata a durare a lungo: “potrete ingannare tutti per un po’ di tempo, e molti per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre” diceva Abraham Lincoln. Se quelli che si propongono come i principali difensori della vita, come fanno le chiese, non contribuiscono a generarla perché i preti devono rimanere casti e il sesso è consentito solo nel matrimonio visto come “remedium concupiscientiae” e non come atto di amore, si palesa chiaramente una contraddizione di fondo della nostra società. Che educa alla violenza e all’inganno, e non all’amore e alla comprensione. E d’altra parte la storia di San Valentino, ci insegna che per la Chiesa il vero amore si realizza solo nella morte. Da questa prospettiva, non sembra ineluttabile la distruzione dell’umanità nel grande olocausto nucleare? Dall’altra parte i totem del patriarcato, il denaro e il potere si stanno visibilmente sgretolando sotto i nostri occhi. Abbatterli non sarà facile per niente, anzi il momento è tale che l’orizzonte sembra più cupo che mai. Serve molta conoscenza e cultura, molta più di quanta non sia già diffusa. La gente deve prendere coscienza che il potere e la violenza non servono più a niente, non c’è un’altra strada. E speriamo che il gene egoista abbia iniziato per tempo le sue attività per impedire questo nuovo pericolo di estinzione.

2 pensieri riguardo “A proposito di patriarcato, LGBTQ+, ed altre questioni intorno alla sessualità.

  1. Un articolo molto lungo ma ben fatto. Chiarisci molti punti e soprattutto, cosa non da poco, fornisci una piccola lezione di storia. Spero che molti altri lo leggano superando la barriera della lunghezza. Comunque scorre bene.

    Detto questo sono ovviamente concorde con tutto in particolare con la parte storica che dovrebbe far riflettere chi insiste a dire che l’unico amore “naturale” è quello tra uomo e donna, oppure chi insiste a parlare di famiglia “tradizionale” non conoscendo nemmeno le proprie origini.

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    1. Grazie per l’apprezzamento, Monica. L’argomento è di capitale importanza e ci sto riflettendo da molto tempo con l’idea di scrivere qualcosa di organico sul tema. E’ un momento cruciale per l’umanità, tra la prospettiva dell’olocausto nucleare e il vuoto creato dalla caduta di un sistema di valori ormai per lo più privi di alcuna giustificazione storica. E’ un passaggio epocale nel senso letterale del termine, l’epoca del patriarcato e del potere come strumento di regolazione dei rapporti umani, sta finendo, ma non c’è ancora una chiara alternativa se non nell’utopia o nei sogni. Io sono ottimista per natura, ma qui è difficile trovare la forza di fare esercizi di ottimismo. Siamo immersi in un mare di ipocrisia e stupidità, e la guerra ne è la perfetta sintesi, è l’essenza della semplificazione, o io o te. la vedo dura…

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