Uno storico G7

L’incontro avvenuto a Fasano, in Puglia, qualche giorno fa tra i cosiddetti sette grandi della terra, passerà certamente alla storia. Ma non certo per lo spessore politico, morale o ideale dei suoi partecipanti che, anzi, si sono distinti in più occasioni, per essere la peggiore classe politica in occidente del secondo dopoguerra, ma per alcuni eventi che sono accaduti durante la kermesse pugliese, eventi di reale valenza storica ma ovviamente del tutto trascurati dai media e dai circoli politici dell’occidente collettivo. I sette, sono sempre più deboli e impotenti e Politico li ha definiti sei anatre zoppe e un cigno nero: Biden è in condizioni sempre più preoccupanti e a novembre sarà spazzato via o da Trump o da un altro candidato democratico che ne prenderà il posto per le elezioni. Macron ha preso uno schiaffone storico e ha dovuto indire elezioni anticipate, così come Suniak in Inghilterra dove peraltro i laburisti hanno 20 punti di vantaggio nei sondaggi. Scholz ha preso uno schiaffone anche lui e sarà costretto a indire nuove elezioni anche lui. Il canadese Trudeau sarà presumibilmente spazzato via alle elezioni di dicembre e il leader giapponese Kishida, tra scandali e sconfitte elettorali intermedie, se la passa male anche lui. L’unica uscita vincitrice dalle lezioni europee è il cigno Meloni che però nello scacchiere internazionale conta come il due di coppe quando briscola è bastoni.

E veniamo al sodo. All’incontro di Fasano avrebbe dovuto partecipare anche  Muḥammad bin Salmān, ovvero il principe designato per la successione al vecchio re saudita Salman, che dal 2017 guida il regno Saudita con competenza e determinazione. Il principe si è scusato, ma aveva dimenticato che proprio in quei giorni era programmata il suo pellegrinaggio alla Medina, e quindi ha declinato l’invito. Che sfortunata coincidenza!

I sette nani avrebbero voluto discutere con lui dell’accordo che re Feisal stipulò con Nixon l’8 giugno del 1974 e che è scaduto dopo cinquant’anni proprio qualche giorno fa, con il quale il regno si impegnava a utilizzare in via esclusiva il dollaro per le transazioni sul petrolio in cambio della “protezione” degli americani. L’accordo non è stato prorogato né se n’è parlato in questi giorni di un’eventuale proroga o rinnovo. Com’è noto, per effetto di questo accordo, le transazioni sul petrolio sono state effettuate in dollari non solo dall’Arabia Saudita ma anche da tutto l’Opec, il che ha indotto le banche centrali dei paesi acquirenti (praticamente il resto del mondo), a costituire notevoli riserve della valuta americana per fare fronte a questi acquisti. In pratica, il dominio del dollaro nelle transazioni internazionali nasce con questo accordo che seguì l’abolizione da parte degli USA degli accordi di Bretton Woods, avvenuta per mano di Nixon poco tempo prima, esattamente il 15 agosto del 1971, e che aveva creato grandi fibrillazioni nei mercati poiché non c’era più alcun legame tra il dollaro e un bene fisico. A Bretton Woods si era stabilito che solo il dollaro era convertibile in oro e gli USA si erano impegnati a stampare non più di 10.000 miliardi di dollari a fronte dell’oro depositato a Fort Knox. Per la verità nei forzieri americani ce n’era molto meno, ma valeva la logica del moltiplicatore bancario oltre che la forza delle cannoniere americane in giro per il mondo a far rispettare le regole dettate dai nuovi padroni. Gli USA ne stamparono sette volte tanto arrivando a 70 mila miliardi di dollari, e quando gli arabi pretesero il pagamento del petrolio in oro fisico, per far cessare le manovre sul cambio del dollaro, e gli europei, Francia in testa, chiesero agli USA di convertire i dollari in oro, si scoprì che l’oro non c’era e Nixon decise l’abrogazione degli accordi di Bretton Woods relativamente al cambio del dollaro in oro fisico.

Con l’accordo con Re Feisal, gli americani riuscirono a legare il corso del dollaro a un altro bene fisico che essi stessi possedevano in abbondanza, ovvero il petrolio, e nascevano così i petroldollari a tranquillizzare i mercati e fare finta che non fosse cambiato niente e che tutto sarebbe continuato come prima. In realtà è cambiato tutto, come ho scritto più volte nei miei libri, ma la gente non deve sapere che per stampare moneta non c’è affatto bisogno di un bene fisico che funga da garanzia della moneta stampata e gli operatori del mondo finanziario ed economico fanno finta di nulla, purché alla fine i soldi gli arrivino egualmente. Insomma, una parte consistente del potere del dollaro nel mondo è derivata dall’accordo che Re Feisal sottoscrisse con gli americani cinquant’anni fa.

Ora quel potere è finito, non esiste più. L’Arabia Saudita è entrata a far parte dei BRICS, collabora strettamente con Russia, Cina, India, Iran e Sudafrica e le transazioni del petrolio avverranno per ora nelle valute locali e poi, forse, nella nuova unità di conto che la Banca dei BRICS probabilmente stabilirà da un paniere di monete dei partecipanti all’organizzazione. Non solo non ci sarà più bisogno del dollaro per comprare petrolio, ma i paesi produttori potranno rifiutare il biglietto verde per vendere il loro petrolio, più o meno come sta facendo la Russia per effetto delle sanzioni, e pretendere il pagamento nella loro valuta o in altra valuta. Le conseguenze di questo fatto storico, le vedremo nei prossimi mesi. Non è difficile immaginare i problemi che verranno alla moneta americana, dalle difficoltà crescenti nel piazzare sui mercati internazionali i titoli del debito pubblico a un’inflazione dovuta al rientro in patria di una montagna di dollari che adesso gira per il mondo e che costituisce più o meno la metà delle riserve valutarie delle banche centrali di tutti gli stati del mondo (tranne alcuni, ad esempio la Russia, che si è liberata delle proprie riserve in dollari ed ha vietato le transazioni commerciali e nella borsa di Mosca mediante l’uso del dollaro). Altra conseguenza è che anche altre materie prime, di cui il resto del mondo è pieno e di cui l’occidente, e soprattutto la UE, ha disperato bisogno, saranno sempre più trattate con altre monete e non con il dollaro. Non c’è alcuna ragione per gli stati dell’Africa, ad esempio, di continuare a vendere le proprie materie prima in dollari, quando ormai trattano quasi esclusivamente con Russi, Cinesi e Indiani che magari li rifiutano come mezzo di pagamento. Oltretutto, americani e europei sono stati cacciati da diversi stati africani che non vogliono più saperne dell’arrogante neocolonialismo economico e culturale degli occidentali. E tranne che per i fedelissimi, lo stesso vale per gli stati del Sud America e per l’estremo oriente dove l’attività degli stati fondatori del BRICS è sempre più presente.

I sette nani, come un’allegra combriccola di adolescenti in gita di piacere, completamente incoscienti di quello che sta cambiando nel mondo, hanno allegramente aggiunto benzina al fuoco che sta divampando per bruciare la montagna di dollari che soffoca il mondo. Hanno deciso di utilizzare i proventi degli asset sequestrati alla Russia per circa 300 miliardi di dollari e depositati per lo più presso Euroclear, e che i solerti gnomi della finanza belgi stanno facendo fruttare in attesa che qualcuno gli dica che fine faranno questi asset. Non è per la verità affatto chiaro come questi proventi saranno usati, ma l’idea di fondo è di emettere titoli da collocare sul mercato per raccogliere circa 50 miliardi da donare all’Ucraina per fare la guerra (quindi i soldi andranno a finire nel famelico sistema produttivo bellico degli USA), garantiti da questi proventi. Già il sequestro aveva creato molti mal di pancia nel resto del mondo, visto l’uso politico che veniva fatto delle istituzioni finanziarie che in genere, sono al di fuori di questo genere di azioni, ma comunque venga strutturato il meccanismo di garanzia, la cosa puzza molto di furto ai danni della Russia. Questo ovviamente, accelererà la fuga dal dollaro, dall’euro e dalle istituzioni finanziarie occidentali che sulla loro stabilità, neutralità e oggettività hanno sempre fondato il loro potere, poiché è ovvio che il medesimo criterio politico potrà un giorno essere azionato nei confronti di chiunque non si adegui ai desiderata del blocco occidentale. A settembre 2022, quando si materializzò il sequestro degli asset della Russia, avevo avvisato delle gravi conseguenze che ne sarebbero seguite in questo articolo, e dopo poco tempo arrivarono due avvisi pesanti da parte di Sauditi e Cinesi agli americani e alle istituzioni finanziarie occidentali. Il duplice fallimento del Credit Suisse e della Silicon Valley Bank, provocati da un’improvvisa emorragia di denaro ritirato tutto insieme dagli investitori, congelò ogni improvvida iniziativa in merito. E’ ormai chiaro a tutto il resto del mondo che degli occidentali e delle loro istituzioni finanziarie non ci si può più fidare e la fuga da queste istituzioni assumerà in breve i connotati di una vera e propria rotta.

Altra ciliegina sulla torta è arrivata con il summit di Lucerna per la “pace” in Ucraina, alla quale sono stati invitati tutti tranne i russi. Difficile parlare di pace senza la partecipazione di uno dei belligeranti che, tra l’altro, sta pure vincendo sul campo, ma tant’è. Poco prima di questo incontro, il Presidente russo Putin ha avanzato una proposta di pacificazione chiaramente inaccettabile per gli occidentali ma che poteva essere una base di discussione, e che però è stata sdegnosamente rigettata da parte degli occidentali. La situazione sul campo di battaglia è tragica per l’esercito ucraino. Il sito Analisi Difesa riporta che le perdite di uomini per l’esercito sono all’incirca di 500 mila soldati e che i feriti non più riutilizzabili in prima linea, ammontano ad almeno un milione di persone. Attualmente l’esercito ucraino dispone di circa 250 mila uomini di cui più o meno la metà al fronte. Si tratta di un fronte di mille km circa ed è chiaro che la linea di difesa è molto fragile, anche perché questi soldati sono per lo più reclute costrette ad arruolarsi e che non hanno né la voglia né la capacità di combattere una guerra moderna. L’esercito russo ha una superiorità in termini di uomini di almeno tre a uno, in questo momento, mentre la superiorità in termini di armamenti, nonostante le incessanti forniture occidentali, è in termini di cinque a uno e per i proiettili stiamo ad almeno otto a uno. Insomma, se volessero i russi potrebbero far collassare rapidamente l’esercito ucraino e costringerlo alla resa. Il problema è che in questo contesto politico, questo porterebbe a un intervento diretto quanto meno dei paesi cosiddetti “Volenterosi”, ovvero Polonia e Baltici, che andrebbero ad occupare l’Ucraina occidentale per difenderne i confini. Allo stesso tempo, la Francia ha già annunciato che non tollererebbe la caduta di Odessa in mani Russe e manderebbe proprie truppe, seguita certamente da Inghilterra e forse paesi scandinavi. Qualche osservatore ritiene che questo quadro ha elevate possibilità di concretizzarsi nel giro di tre o quattro mesi al massimo, vista la resistenza sempre più flebile dell’esercito ucraino. Si tratta in pratica di uno scontro diretto tra la Russia e la Nato, anche se formalmente non scatterebbe l’articolo 5 poiché i “Volenterosi” agirebbero al di fuori delle previsioni della NATO. Però se i “Volenterosi” attaccassero la Russia direttamente dal proprio territorio, questo autorizzerebbe l’attacco di ritorsione alle strutture dalle quali è partito l’attacco alla Russia, e questo potrebbe far scattare l’articolo 5 e coinvolgere tutti i paesi della NATO nella guerra. Tra l’altro, stante lo stato degli eserciti occidentali, è possibile che la ritorsione Nato avvenga per mezzo di armi nucleari, magari tattiche, per fermare l’esercito russo che, ovviamente, reagirebbe con il proprio arsenale nucleare, probabilmente coinvolgendo anche il territorio degli USA. Insomma, sarebbe l’inizio della fine dell’umanità.

Il problema è che in Europa sembra che nessuno si renda conto dell’effettivo pericolo che si sta correndo in questo momento e che il rischio di un conflitto nucleare non è mai stato così vicino nella storia dell’umanità. Il Presidente della Serbia Vucic ha detto chiaramente che il treno della guerra tra l’Europa e la Russia è già partito e che nessuno è in grado di fermarlo, ormai. Forse è uno dei pochi politici rimasti lucidi in Occidente, ma speriamo che si sbagli.

Le prospettive, comunque, sono molto buie. Se si riuscirà ad evitare la guerra, sarà difficile comunque superare la crisi economica che sarà innescata dal crack finanziario che ci aspetta. In Serbia stanno facendo scorte di farina, olio e benzina in previsione di un conflitto. Forse ci conviene pensare di fare altrettanto e di pregare perché non partano missili nucleari di fronte ai quali c’è ben poco da fare.

Lascia un commento