Sanzioni, c’è qualcosa che non quadra, forse ci stiamo sanzionando addosso

Secondo i nostri geniali gestori del sistema finanziario, le pesantissime sanzioni prese dai paesi occidentali a carico della Banca Centrale Russa, e dell’intero sistema finanziario della Federazione, avrebbero dovuto portare al default della Russia, alla riduzione del rublo a carta igienica e all’immiserimento dell’economia russa al punto da riportarla a una situazione comparabile a quella che si era verificata subito dopo lo scioglimento dell’URSS.

In effetti, nei primi giorni successivi al 24 febbraio, data di inizio delle operazioni belliche in Ucraina, il rublo è precipitato, raggiungendo quota 150 rubli per un dollaro, la Borsa è stata precipitosamente chiusa, il tasso di interesse è stato portato all’improvviso al 20% dalla Banca Centrale, ed è stato vietato a cittadini e imprese di ritirare dollari o euro dai loro conti in valuta. Si sono formate lunghe code ai bancomat russi, con la gente che cercava di capire cosa potesse fare con i soldi, anche perché nel frattempo i prezzi subivano un repentino rialzo anche del 100% di alcuni generi di prima necessità. Biden annunciava urbi et orbi che il rublo non valeva più niente, che ormai ce ne volevano 200 per prendere un dollaro e presto il suo valore sarebbe stato inferiore a quello della carta straccia.

Poi, però, nonostante la guerra continuasse ad infuriare in quasi tutto il territorio dell’Ucraina e tensioni crescenti avvelenassero il clima generale, facendo prefigurare scenari di intervento armato da parte della Nato e persino minace di utilizzo di armi nucleari, la situazione monetaria si è prima stabilizzata e poi ha preso a percorrere la strada inversa, al punto che oggi, di fatto, il rublo è tornato alle quotazioni che aveva prima dell’inizio del conflitto, e sembra che abbia intenzione di salire ancora e migliorare il proprio tasso di cambio, sia nei confronti del dollaro che in quelli dell’euro. Che cosa è successo?

Dobbiamo riflettere sul fatto che, nonostante le guerre, gli investitori speculatori sui mercati continuano a ragionare secondo la propria convenienza e non in termini etici o di supporto all’aggredito e figuriamoci se tengono in alcuna considerazione il patriottismo. Le autorità monetarie russe, dopo l’annuncio delle sanzioni, hanno assunto alcuni provvedimenti drastici che nell’immediato hanno ridotto l’impatto delle sanzioni, e poi altri provvedimenti di più lungo respiro. Vediamo nel dettaglio:

  1. il primo provvedimento è stato chiudere la borsa di Mosca, che è rimasta chiusa per una settimana, poi è stata riaperta solo per il trading dei titoli di stato, e infine, da una settimana circa, è stata aperta per tutte le contrattazioni. Permane il divieto di vendite allo scoperto, e questo se limita i volumi delle contrattazioni impedisce le punte di speculazione che in questo momento potrebbe infliggere colpi duri all’economia russa.
  2. Il secondo provvedimento è stato di alzare in modo drastico il tasso di interesse sul rublo, portato da circa l’8% al 20%, e questo ha contenuto le vendite dei titoli in rubli e ha aperto una fase di riflessione degli investitori, spaventati dalla lunga serie di abbandoni di imprese occidentali, sul futuro dell’economia russa e della sua moneta.
  3. Il terzo provvedimento è una mossa che si aspettava da tempo e per la quale la Russia si è a lungo preparata. Negli anni passati, gradualmente ma con decisione, la Banca Centrale russa ha sostituito le riserve in dollari con riserve in oro fisico, di cui possiede una quantità pari a circa 150 miliardi di dollari, su un totale di 635 miliardi di riserve. Ricordo che di queste riserve poco più di 300 miliardi sono depositate presso banche, centrali e commerciali, occidentali e sono attualmente bloccate per effetto delle sanzioni. La mossa è consistita nello stabilire un tasso di cambio del rublo nell’oro fisico, e così un grammo di oro è acquistabile con 5.000 rubli, e nell’avviare un nuovo programma di acquisto di oro fisico. Negli ambienti finanziari si era superficialmente previsto che la Banca Centrale russa sarebbe stata costretta a vendere oro per alimentare le proprie necessità di cassa dissanguate dalle sanzioni: in realtà è successo esattamente il contrario, e la Banca Centrale, nella sorpresa generale dei disinformatissimi e presuntuosissimi esperti occidentali, ha invece cominciato a comprare l’oro fisico, dimostrando di avere ancora molte riserve a disposizione, che evidentemente intende cristallizzare in oro fisico. Gli investitori, non sono rimasti indifferenti rispetto a questa manovra e hanno percepito che il rublo backed in oro fisico, ha molta più credibilità degli euro e dei dollari che vengono dai QE delle banche centrali europea e americana.
  4. Infine, la Russia ha annunciato che pretenderà a brevissimo il pagamento del gas, del petrolio e di altre commodities che saranno indicate dalle commissioni economiche competenti dei Ministeri russi, dovrà avvenire in rubli e non in valute occidentali, dollari o euro. La reazione occidentale è stata di respingere questa richiesta sulla considerazione che i contratti prevedono il pagamento in euro o dollari. Ho letto da qualche parte che, in realtà, i contratti prevederebbero anche il pagamento in altra moneta scelta dal venditore, e la mia personale esperienza di contratti internazionali è che la clausola sulla valuta del pagamento prevede sempre una clausola che indica una valuta di riferimento ma non impedisce che il venditore possa chiedere il pagamento con altri mezzi. Comunque, prendendo anche per buona l’obiezione dei governi occidentali, è difficile dire al venditore che non può pretendere il pagamento in rubli o oro e che se lo facesse subirebbe le conseguenze giuridiche di questa che sarebbe intesa come una violazione contrattuale. A prescindere dal fatto che di mezzo c’è una guerra, e uno scontro ormai totale tra l’occidente e la Russia, e che questi, con le loro sanzioni, hanno bloccato (o rubato, come dicono i russi), oltre 300 miliardi di riserve della Banca Centrale russa, la violazione dei contratti ha la stessa rilevanza di una piuma messa per fermare un ingranaggio di acciaio. Difficile pensare che i governi occidentali, tramite le aziende che acquistano il gas e il petrolio, possano fare causa davanti alla sede arbitrale di Parigi (in genere coinvolta in queste vicende di regolazione delle patologie dei contratti internazionali di un certo livello) e pretendere che i russi si adeguino ad una eventuale sentenza di condanna. Mentre, nel frattempo, Italia e Germania restano senza gas, perché la minaccia di chiudere il rubinetto è concreta e imminente, e finiscano con tutte le scarpe in una recessione dalle conseguenze imprevedibili. Anche questa prospettiva ha contribuito a rialzare il corso del rublo che, nelle ultime ore è tornato ai livelli che aveva prima dell’inizio del conflitto in Ucraina e che si adegua al rapporto tra l’attuale corso dell’oro e del cambio in rubli stabilito dalla Banca Centrale della federazione russa.

Morale della storia, viene il dubbio che le sanzioni abbiano sì colpito la Russia, ma non come ci si aspettava, e l’abbiano spinta a gestire un sistema, alquanto antiquato, ma a quanto pare gradito agli investitori, di emettere una moneta sostenuta dall’oro fisico in contrapposizione alle monete occidentali che adottano tutt’altri criteri per stampare soldi. Viene anche il dubbio che tutto questo sia stato previsto dalle autorità russe che hanno deciso prima di andare allo scontro con l’occidente e i suoi sistemi finanziari di controllo del mondo, portandosi appresso i due terzi del mondo per il PIL PPA (come ho scritto nell’articolo “Sulle conseguenze economiche della guerra“), e in particolare la Cina, l’India (con cui Mosca sta compravendendo petrolio e gas e prodotti indiani utilizzando Rubli e Rupie), con l’Arabia Saudita, gli emirati Arabi, l’Iran e altri paesi che hanno deciso di trattare il petrolio avendo come riferimento il prezzo i Yuan e non quello in dollari, eccetera, eccetera. Stiamo assistendo al tramonto del dollaro come moneta di riferimento delle transazioni commerciali del mondo? Forse, e nelle prossime settimane lo sapremo con certezza, così come sarà chiaro se c’è un progetto di ridisegnare gli equilibri del mondo sia in termini geopolitici che, soprattutto, in termini economici e finanziari, che poi è sempre il vero terreno di scontro.

Infine, per l’Europa le prospettive sembrano difficili. Se è vero che i paesi europei hanno trovato l’unità nella condanna dell’invasione dell’Ucraina e nel supporto al paese invaso, con aiuti di ogni genere, se si è stretto e forse rinnovato il rapporto con gli USA e se ha preso nuova linfa la Nato, resta il fatto che le conseguenze economiche delle sanzioni saranno molto dure per i paesi europei e per alcuni di essi durissime e forse ne metteranno a repentaglio la già difficile ripresa economica dopo due anni di pandemia. E’ altamente probabile che il blocco delle forniture di gas induca sia in Germania che in Italia una forte recessione per la banale ragione che mancherebbe l’energia necessaria per far funzionare gli stabilimenti industriali e non ci sarebbe tempo per trovare fonti alternative. Per dirla tutta, il gas americano può coprire il 10% del fabbisogno di Italia e Germania e oltretutto richiede i rigassificatori che in Italia sono insufficienti e in Germania mancano proprio. Per incrementare le forniture dall’Africa o dall’Oriente sono necessarie infrastrutture che richiederanno qualche anno per essere messe in funzione, tempo che è necessario anche per costruire impianti da fonti rinnovabili che possano, parzialmente, sostituire gli impianti a gas. Una produzione a singhiozzo in Germania sarebbe un grave problema anche per molte aziende italiane del nord che producono migliaia di componenti per i prodotti finiti costruiti dai tedeschi, e che comunque avrebbero anche i loro problemi per gestire con continuità la produzione per le inevitabili ristrettezze nella fornitura di energia. Difficile dire quale possa essere l’ampiezza di questi problemi e quali conseguenze possano portare, ma il fatto che questa crisi arrivi in un momento di particolare debolezza del tessuto industriale, provato da due anni di produzione intermittente e di cali di fatturato per la pandemia, non rende certo ottimisti. A medio termine, per l’Europa si pone un problema di energia: ci vorranno non meno di dieci anni per trovare e rendere operative fonti di energia alternative al gas e al petrolio in grado di soddisfare le esigenze delle industrie europee. E occorreranno anche molte risorse per costruirle che, al momento, non sembra siano così abbondanti anche nella prospettiva di una recessione economica nel continente indotta dal conflitto in corso. Forse si riuscirà a costruire una qualche unione più stringente sul piano militare che, si spera, possa essere accompagnata se non preceduta da una maggiore unione politica. Forse, ma non è detto affatto, stante le divisioni e le differenze enormi tra i paesi dell’Unione Europea. Solo qualche anno fa si pensava che fosse opportuna una divisione sul piano monetario, costruendo un Euro A e un Euro B per superare le contraddizioni e le differenze tra i paesi e cercare di risolvere i problemi che vengono dalla disomogeneità delle aree economiche. La Brexit ha poi assorbito molte energie e attenzioni e l’idea, che era un progetto in embrione, è stato accantonato, ma le contraddizioni non sono state superate. Insomma, le prospettive per l’Europa non sono rosee, visto che rischia di fare la fine del vaso di coccio, per sue debolezze strutturali e per la eccessiva dipendenza dagli USA, in mezzo ai vasi di ferro, raggruppati intorno alla Cina, per la potenza economica, e alla Russia per le sue materie prime e soprattutto per le oltre 6.000 bombe atomiche che possiede. Sarà dura.

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