Economia della scarsità, solidarietà, sacrificio ed economia dell’abbondanza

Nelle società antiche il sacrificio umano, così come quello degli animali, era praticato regolarmente. Non c’era evento importante che non fosse preceduto, o seguito o accompagnato da sacrifici di animali e di esseri umani. La vita umana individuale valeva poco o nulla, quello che contava era la sopravvivenza del gruppo e, per ingraziarsi gli dei e favorire il loro intervento a favore della comunità, il sacrificio di uno o più membri di essa era ritenuto essenziale. Sappiamo per certo che alcune società sceglievano i membri da sacrificare tra i giovani più belli e nobili, e li allevavano con questo obiettivo per qualche anno, rendendo loro i massimi onori e facendoli vivere negli agi e nel lusso, affinché si presentassero agli dei nel modo migliore e rendessero testimonianza del livello di raffinatezza che la società da essi dei tutelata, aveva raggiunto grazi al loro intervento. Essere scelti per il sacrificio era un onore oltre che un dovere. D’altra parte il significato originario del termine “sacrificio” viene da “sacrum facere“, ovvero compiere un atto sacro agli dei. Inoltre, la coscienza di sé era molto labile se non inesistente, soprattutto nelle società gilaniche (quelle che hanno preceduto il patriarcato e che Bachofen ha definito con il termine di “matriarcali“; Marija Gimbutas, antropologa americana, ha coniato il termine “gilanica” per indicare che questa società non aveva alcun senso del potere, di cui l'”Archè” è una delle tre articolazioni). Sacrificarsi per la comunità era naturale e doveroso e questo nelle guerre accadeva spesso. Per quanto concerne le comunità gilaniche, che erano essenzialmente pacifiche e conoscevano poco o nulla la guerra, il riferimento è alla resistenza all’invasione delle società Kurgan o patriarcali. Compiere questo sacrificio agli dei davanti a tutta la comunità che ti sostiene e ti acclama era la massima aspirazione di ogni giovane nobile di stirpe e di animo. Infine, quelle società non avevano un senso del tempo sviluppato come il nostro, e la lunghezza della vita non aveva alcun significato. In ogni caso si doveva morire e farlo compiendo un gesto sacro agli dei e alla comunità era fortemente desiderabile.

Non sappiamo con certezza quale o quali ragioni hanno spinto quelle comunità a considerare il sacrificio umano e/o quello degli animali come gradito agli dei. Riflettendo sul fatto che in quasi tutte le società ancestrali i sacrifici umani avvenivano durante le feste del solstizio d’inverno, si può pensare che il sacrificio fosse destinato a convincere gli dei a far sorgere di nuovo il sole e che la paura di una sua scomparsa terrorizzasse quelle società che erano quindi disposte a tutto pur di impedire al sole di scomparire. Ci sono anche molte altre ipotesi, ovviamente, e non è questa la sede per discuterne. Ma è un dato certo che il sacrificio, inteso come uccisione di animali e umani per ingraziarsi gli dei era ampiamente diffuso, accettato e regolamentato da norme minuziosamente articolate.

Il significato originario del sacrificio come gesto sacro e desiderabile in quanto tale, comincia a perdersi con le società Kurgan o Patriarcali, che oltre al dominio del maschio e alla guerra portano anche l’inizio della coscienza di sé contrapposta alla coscienza del gruppo. Si cominciano a sacrificare dapprima i nemici e poi gli schiavi, poiché comunque gli dei avevano bisogno del loro tributo di sangue per sostenere la comunità. Non che si perda il senso del sacrificio, ma è considerato molto più onorevole dare la vita per la patria in guerra piuttosto che su un altare. D’altra parte le società Kurgan vivevano di guerra e di appropriazione di risorse accumulate da altre comunità, e quindi quella era diventata l’attività principale per la difesa e la gloria della comunità. Nelle società ancestrali, tutto ciò che componeva la comunità apparteneva agli dei e per essi alla grande madre, ma con la nascita e la crescita della coscienza di sé, le cose e le persone cominciano ad appartenere alle singole persone che le hanno conquistate con la forza e con le loro capacità. Il concetto di sacrificio, da atto doveroso e nobile, massima aspirazione dei migliori della comunità, comincia a tramutarsi in un atto dovuto per la sopravvivenza della comunità che comporta la rinuncia a qualcosa di proprio, compresa la propria vita per il bene della comunità. E’ qui che nasce il significato moderno di “sacrificio” come rinuncia a qualcosa di proprio. Rinuncia a qualcosa che un tempo apparteneva solo agli dei e alla comunità, poiché il singolo non contava niente, o meglio non esisteva proprio in quanto essere contrapposto alla comunità, “altro” da essa. Nelle società ancestrali, l’economia esisteva sotto forma di “economia del dono“: alla fine dell’anno, tutto quello che era stato prodotto ed eccedeva le capacità di consumo della società, veniva “sacrificato” agli dei e donato a tutti i membri della comunità. D’altra parte erano stati gli dei a concedere tanto generosamente tutti quei beni eccedenti le capacità di consumo della collettività e non aveva senso che essi restassero nella disponibilità di chi aveva usufruito di questa generosità. L’idea dell’utile non si era ancora fatta strada nella mente dei membri di quelle comunità.

L’onore del sacrificio resiste a lungo anche nelle società Kurgan, anche se in forme diverse, basti pensare all’evoluzione della figura dello “Arconte eponimo” nella cultura greca. Non solo era un onore essere scelto per organizzare il teatro e i giochi (che erano sempre in onore degli dei: la “tragedia” nasce con il sacrificio di un capro al termine di una processione, fatta da due file di fedeli che cantavano gli inni agli dei a turno. L’evoluzione di queste cerimonie porta poi al dialogo tra i primi due della fila e alla nascita del coro (cfr Nietzsche, La nascita della tragedia)), ma l’Arconte era considerato una figura sacra e intoccabile per tutto il tempo in cui egli svolgeva la funzione di organizzatore dei giochi (a proprie spese), era esentato dal servizio militare, e dovunque andasse gli venivano tributati grandi onori.

Comunque, con il crescere della coscienza individuale, il sacrificio diventa sempre più pesante ancorché sia sempre considerato indispensabile per la sopravvivenza della comunità. L’evoluzione dei rapporti trasforma il sacrificio, originariamente dato essenzialmente dalla personale partecipazione alla guerra armando sé stessi o altri membri della propria famiglia, in una somma di denaro o di altre utilità che avevano lo scopo di ingaggiare persone disposte ad andare in guerra al posto del “contribuente”. D’altra parte per le società Kurgan, le risorse erano sempre scarse, e c’era continuo bisogno di accumularne delle altre anche quando era del tutto evidente che queste non servivano affatto. Come dice Gandhi, “le risorse sono sempre sufficienti per i bisogni di tutti, ma assolutamente insufficienti per l’avidità di pochi“. Nelle società gilaniche le risorse erano sempre sufficienti, la natura e la terra erano sempre generose con la comunità e l’accumulazione era  considerata un atto contrario alla volontà degli dei. Nelle società patriarcali, invece, si fa strada il concetto della limitatezza delle risorse e dell’economia che, da scienza per la disciplina delle risorse della casa, diventa scienza per la regolamentazione di risorse che sono per definizione scarse.  Questa idea della limitatezza delle risorse e della necessità del sacrificio, ovvero della rinuncia individuale di ciascuno per la sopravvivenza della comunità è quella che ancora domina il pensiero economico e giuridico delle nostre società. Si deve contribuire a mantenere lo Stato pagando le tasse in proporzione (più o meno)al proprio reddito, perché altrimenti lo stato non potrebbe organizzarsi e dare a tutti i cittadini i servizi di cui questi hanno bisogno. Poiché le risorse sono limitate, questo sacrificio è essenziale, e la sua violazione viene punita severamente in tutto il mondo.

Lo stesso concetto di solidarietà è legato all’idea del sacrificio. Quello che originariamente era un atto dovuto agli dei e naturale per effetto di questa “devozione“, diventa un destinare una parte di sé e delle proprie risorse sacrificando altre opportunità o possibilità. La crescita ella coscienza di sé fa diventare ipertrofiche molte personalità, che non amano essere solidali perché pensano che in tal modo debbano sacrificarsi e cedere una parte di sé e delle proprie sostanze. Questo sembra un pensiero naturale e ovvio, tanto è radicato nella nostra cultura, ma se ci si riflette sopra, si scopre che è un pensiero falsificato dalla visione accentratrice del patriarcato e dalla cultura della scarsità. Axelrod ha dimostrato che un comportamento solidale è più conveniente, sul piano individuale, di un comportamento egoistico, in ogni circostanza. E quanto alla scarsità delle risorse, Tipler (e Von Hayek) ha dimostrato a sua volta che le risorse sono sempre sufficienti e che crescono in misura esponenziale nel tempo di vita che cresce in misura lineare. Questo salto di paradigma è essenziale per costruire una società diversa più giusta e più equa, e soprattutto più ricca. L’economia dell’abbondanza da me teorizzata si fonda su questo assunto di base e la Faz vuole essere lo strumento per realizzarlo.

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