Quattordici anni fa ho scritto queste riflessioni sulla giustizia, sulla verità e sul movimento. Era il 2001 ed avevo ancora nel naso l’odore acre dei lacrimogeni generosamente lanciati sulla scogliera di Genova, dove ci eravamo rifugiati, e in bocca il sapore amaro della decisione di lasciare l’attività di avvocato. Avevo la sensazione di entrare in un mondo inesplorato, difficile da capire, difficile anche orientarsi. Qualche tempo dopo, inserii questo brano nel libro “Un’altra moneta”, poiché mi sembrava doveroso invitare a riflettere sul tema del potere e delle sue ancelle, appunto la “Verità” e la “Giustizia”. Ma stavo mettendo in discussione i capisaldi stessi della società in cui viviamo, quei capisaldi ai quali tutti, ipocritamente, chi più chi meno, chi scientemente ipocrita, chi senza rendersene conto, fanno riferimento quando parlano della loro società ideale. Appunto, una società ideale, ovvero figlia di ideologie che dovremmo eliminare definitivamente dal nostro orizzonte. Stavo anche rovesciando le basi stesse della cultura sulla quale mi ero formato che mette la ricerca della verità ed il perseguimento della giustizia sul punto più alto della sua etica. Ma era necessario farlo.
Come spesso succede, quando si scrivono cose che appaiono enormi, su questo brano è calato un imbarazzato silenzio. So che in molti mi attaccheranno, soprattutto perché non lo capiranno. La verità e la giustizia sono gli obiettivi di tutte le azioni politiche, sociali, individuali, collettive. Nel libro che sto scrivendo sull’economia dell’abbondanza ne parlerò in modo più approfondito. Ora mi sembra il caso di riproporlo così come l’ho scritto, per provare a rilanciare la discussione a margine delle riflessioni, spesso superficiali e ipocrite che ho letto sugli eventi del primo maggio.
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La logica del potere esige la “giustizia” e la “verità”. Combattere contro la logica del potere significa combattere contro la giustizia e contro la verità. Non dico contro “questa” giustizia e “questa” verità, ma contro la giustizia e la verità come strumento e risultato del processo di prevaricazione insito nella relazione di potere. Insomma non esiste una giustizia “giusta” così come non esiste un’altra “verità”. Entrambe sono figlie del potere.
La giustizia è di classe. Questa frase l’abbiamo sentita tante volte che è divenuta uno slogan, ma essa esprime una verità profonda. Il sistema giudiziario e la giustizia in sé sono strumenti del potere, qualunque esso sia e da chiunque sia esercitato. Questo concetto è noto non solo ai marxisti ma a chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la filosofia. Heidegger ha dimostrato il legame profondo che intercorre tra la giustizia ed il potere, fino al punto che la “verità” è il vittorioso dopo lo scontro e il “falso” è lo sconfitto. Falso è colui che cade (fallit) di fronte al comando (jus) vittorioso. E’ questo il senso della giustizia nel mondo occidentale. Pensare che esista una giustizia assoluta e delle leggi assolute che la regolano in qualunque tempo o sotto qualsiasi latitudine è un errore imperdonabile. Si tratta, appunto, di cattiva metafisica.
La giustizia è quindi un prodotto della storia e non un assoluto. In quanto tale, in epoca di conflitti di classe, la giustizia è di classe. Essa difende il potere ed i privilegi della classe dominante. Diceva Bernard Shaw che la giustizia punisce con ugual rigore il borghese ed il povero che dormono sotto i ponti. In quanto strumento del potere la giustizia è un atto di violenza. Ogni procedimento giudiziario si può concludere con un provvedimento di costrizione di uno o più uomini. Ma è in sé che il procedimento giudiziario si traduce in un atto di violenza, poiché mette a nudo l’essenza degli uomini che sono sottoposti al procedimento. Insomma, la violenza della giustizia non si esprime solo con il provvedimento finale, ma è connaturata all’atto del giudizio. Il giudizio, che noi riteniamo essere proprio dell’uomo, in realtà esprime la prevaricazione di un uomo su un altro uomo. Non mi riferisco (solo) agli errori giudiziari che nella storia sono stati innumerevoli, ma che possono essere giustificati come conseguenza dei limiti di comprensione umana. Dico proprio che è l’atto del giudizio, il giudizio in sé, a presupporre una prevaricazione, una violenza.
La logica del potere esige la “giustizia” e la “verità”. Combattere contro la logica del potere significa combattere contro la giustizia e contro la verità. Non dico contro “questa” giustizia e “questa” verità, ma contro la giustizia e la verità come strumento e risultato del processo di prevaricazione insito nella relazione di potere. Insomma non esiste una giustizia “giusta” così come non esiste un’altra “verità”. Entrambe sono figlie del potere.
Mi rendo conto che è un discorso difficile da digerire, questo. Tutti noi siamo nati e siamo stati educati a perseguire la giustizia e cercare la verità. Ma è lo stesso ragionamento che ci induce a rifiutare il potere “giusto”, che ci porta ad escludere che siano possibili una giustizia giusta ed una verità vera.
Queste espressioni sono entrambe tautologie. La giustizia è per definizione giusta e la verità è per definizione vera. L’aggiunta dell’aggettivo vale ad escludendum, nel senso che ci fa presupporre che una giustizia possa non essere giusta ed una verità possa non essere vera. E chi stabilisce se la giustizia è giusta e la verità vera? Appunto, il potere.
La giustizia rovescia il senso della legge. La legge unisce, mette insieme, affratella. La giustizia, in quanto decide, taglia, recide, appunto decide (da de-caedere che in latino significa tagliare). Quello che la legge unisce con il legame, la giustizia taglia con la spada, che è uno degli strumenti del potere (lo strumento originario).
Che cos’è una società senza giustizia e senza verità? Sento già rumori di guerra, dietro queste mie parole, ma non li temo. Gli antichi greci non conoscevano la verità eppure vivevano benissimo. E finché fu possibile, essi vissero anche senza giustizia e senza legge. Poi, queste divennero necessarie quando le risorse divennero scarse e fu necessario evitare che gli uomini si uccidessero tra loro per prenderle. Ci pensavano le legioni a prenderle e distribuirle tra tutti. Perché credete che il diritto romano abbia dominato la storia del pensiero giuridico per duemila e più anni? Perché era portato dalle legioni, insieme alle spade, alle aquile, alle strade, agli acquedotti ed agli anfiteatri.
Dico che ora giustizia e verità non sono più necessarie, anzi, più passa il tempo e più esse mostrano il loro aspetto peggiore, la loro vera natura che è quella di essere strumenti di potere. E non sono più necessarie perché le risorse non sono più scarse e non dobbiamo più ucciderci per sopravvivere. Non ci servono le legioni di Cesare né i rambo di Bush.
E’ verità quella delle multinazionali, del FMI, della televisione? Eppure è quello il mondo com’è rappresentato oggi. E’ giustizia quella “infinita” di Bush, quella dei tribunali, quella economica? Oppure è giustizia quella dei talebani, di Bin Laden o di Saddam?
E’ giustizia quella degli arabi o quella degli occidentali? Non uccidono entrambi, forse? E non si tratta di poteri contrapposti, di una “parte” (o un partito) che pretende di essere il “tutto” annientando l’altra parte? E non è questa forse, la giustizia, l’esclusione dall’ethos comune, e la condanna, per questo, all’annientamento?
E’ la giustizia che brucia le streghe, condanna gli eretici, decapita i ribelli in tutto il mondo. In base a leggi che sono sentite come giuste da alcuni e che a noi appaiono ripugnanti. E’ la stessa giustizia che condanna le adultere alla lapidazione, i ladri al taglio della mano, i blasfemi al taglio della testa. O pensate che sia un’altra giustizia? Il meccanismo è sempre lo stesso, la legge “giusta” in forza della quale emettere una sentenza “giusta”.
Parole, dietro alle quali si nasconde, senza alcuna vergogna, una sola verità: la giustizia è uno strumento di potere. La sua logica è quella della vendetta, in questo non molto dissimile dall’ordalia barbarica. D’altra parte questa è la logica di un mondo il cui senso è la sopraffazione per la propria sopravvivenza o per il proprio benessere. E’ il mondo in cui la ricchezza si divide perché è scarsa. E’ il mondo in cui pochi possono stare bene e molti devono soffrire per il benessere dei pochi. E’ il mondo in cui tutti sono contro tutti, e solo la legge, con la sua minaccia di punizione, impedisce il conflitto generalizzato.
Ma allora interroghiamoci. Noi siamo così? Vogliamo davvero la giustizia? Vogliamo davvero la verità? Il movimento non è quello che non vuole né Bush né Bin Laden, che non vuole la logica della vendetta, che non vuole la legge dell’ordine capitalista?
E la terza via, se c’è, non è al di fuori della logica stretta della contrapposizione di verità vere e giustizie giuste? Perché non crediamo che vista dal lato degli israeliani la loro sia verità, come quella dei palestinesi? E che l’Islam non abbia la sua giustizia come Bush e gli americani?
Ma noi, come possiamo parlare di giustizia e di verità se rifiutiamo la loro giustizia e la loro verità?
La giustizia è di classe. In base a questa ovvietà, nei paesi di socialismo reale, è stata fatta giustizia. Massacrando milioni di persone.
La giustizia è di classe. In base a questa ovvietà le carceri dei paesi occidentali sono piene di poveracci che non ce la fanno a vivere nel teatrino mediatico in cui gli eroi hanno tutto e loro non hanno niente, nemmeno i sogni, che a quelli ci pensa la televisione. Non qualche poveraccio, ma milioni di poveracci che la giustizia esamina, giudica e condanna. E’ una condanna già scritta da una società che li ha esclusi sin dalla nascita. Appunto, la giustizia borghese punisce con ugual rigore il ricco e il povero che dormono sotto i ponti.
Se dobbiamo ricostruire il mondo, dobbiamo cominciare dalla violenza che è in noi. Cominciare ad estirparla, perché è insensato combattere la violenza con la violenza. E’ insensato combattere il potere con il potere. E’ proprio quello che vuole il potere in sé. Al quale non importa nulla il colore dei capelli di chi lo esercita e nemmeno quello della sua divisa. Non importa chi vince, importa che si combatta, esso vuole il terrore, il sangue, la morte, la vendetta, altra morte, in una spirale infinita. Al potere interessa solo vivere attraverso gli uomini, ad esso interessa il colore dell’anima degli uomini, quello che la divisa nasconde, ma non cambia.
Al fronte si muore tutti nello stesso schifosissimo modo, buoni e cattivi, eroi e vigliacchi, si muore con la faccia nella terra, nelle pozzanghere, nell’odore del sangue e delle feci, si muore nel freddo dell’odio e nel buio dell’indifferenza. Il potere grida forte la sua verità, ha sete della sua giustizia, pretende l’odio di tutti. Perché dentro e dietro la verità e la giustizia c’è l’odio e non l’amore. Il potere è una strada lastricata di odio e di sopraffazione, di violenza e di miseria, materiale e morale.
Se non vogliamo il potere, dobbiamo gridare forte che non vogliamo né verità né giustizia. Che la vita degli esseri umani è al di sopra di ogni verità e ogni giustizia e non il contrario, che la legge che unisce è una legge d’amore e non di odio.
Dobbiamo ripensare profondamente la società, le relazioni, la sicurezza, il mondo intero. La società della verità e della giustizia è la società del profitto. Il profitto è una prevaricazione, una violenza in sé. Dobbiamo reagire con l’indifferenza al profitto, costruendo un mondo di relazioni in cui non ci sia profitto. Possiamo farlo a partire da noi stessi, così come possiamo costruire un mondo di relazioni che non viva nella violenza della verità e della giustizia. La giustizia e la verità sono il residuo metafisico di un uomo impaurito dalla sua stessa natura. Sono i fantasmi della nostra paura di vivere, di essere compiutamente umani. Certo, occorre difendersi dalla violenza, occorre soprattutto prevenirla ed estirparne le radici. Che sono nell’ignoranza, nell’incoscienza, nel nichilismo di chi non riconosce la vita come valore. Noi dobbiamo caricarci sulle nostre spalle il dolore di un mondo che reclama libertà e amore. E dobbiamo dargli libertà e amore, non giustizia e verità.
Possiamo farlo, subito. Basta cominciare, nel mondo, nei luoghi più sperduti del mondo, c’è molta più umanità di quanto non appaia da una rappresentazione che gode del dolore e della sofferenza e nega l’esistenza della solidarietà e dell’amore. Se c’è una ragione per cui dobbiamo fare controinformazione è proprio questa, battere questo mondo che per il proprio profitto sbatte in prima pagina il mostro e nasconde i mille gesti d’amore che ogni giorno sono compiuti da mille eroi sconosciuti.
“Non ho bisogno di nessuna rivoluzione che mi aspetti. Uno la rivoluzione ce l’ha dentro e se la porta di qua e di là, come i bagagli. – Paco Ignacio Taibo II.”